Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Ferragosto in vicolo del Sambuco

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Mio nonno abita in Vicolo del Sambuco. Entro mura libere d’oggetti e parole superficiali, dove pranzare con lui è ascoltare il silenzio sottolineato dal rumore delle posate sulle stoviglie. La domenica, quando vado a trovarlo, non prendo mai il vicolo dall’alto. Provo una certa vertigine a guardare giù, quella di avere una discesa davanti a me che, per paura di non riuscire a fermarmi, temo a imboccare. Sono più tranquillo a salire, pensare che l’avanzare sia commisurato alla forza delle gambe, tenuto sotto controllo dalla mia volontà.

Dall’angolo della fontanella di Via Dupré imbocco il vicolo, prendendo la rincorsa. Ogni volta mi prometto di farlo tutto d’un fiato, ma spesso il mio proposito subisce ostacoli. Uno di questi si chiama Gina: una signora dai lunghi boccoli grigi, vestita dei migliori abiti. Se ne sta seduta sulla panchina di legno ad ascoltare i respiri affannati di chi, come me, sceglie la strada più tortuosa ma anche più sicura. In questo vicolo, le panchine sono particolari: possono stare in piedi solo se squilibrate, se una gamba più lunga dell’altra colma il dislivello esagerato della via.

Il passatempo preferito di Gina è osservare con compiacente distanza le gocciole di sudore scendere sulla pelle di turisti e residenti impavidi che salgono. Riflettere sull’essere umano che, quando può, si complica la vita. Mi conosce da quando sono nato e nella mia versione migliore, quella di un nonno che racconta il proprio nipote. Sa che rientro all’interno del suo ventaglio umano di studio.

Oggi mi dice: “dovresti fermarti un po’ a riposare. Lo sai che giorno è?”
E’ domenica, sì, questo lo so. Ogni settimana intraprendo trafelato la stessa salita.
“Non solo domenica, è Ferragosto – risponde – Oggi i contadini romani riposavano, le semine erano già state fatte. A Ferragosto, ogni pena è già stata scontata”. Sposta la larga gonna dalla panchina e mi offre un posto accanto a lei. La sua anima si perde a raccontare del prezzo abbassato dei treni nella giornata di Ferragosto, del costume intero rosso che indossava assieme agli orecchini d’oro a cerchio. Qui a Siena in pochi andavano al mare, c’era la prova generale, ma quando la propria contrada non correva se ne approfittava.

L’odore della brace esce dalla finestra poco più in alto e riempie l’aria stretta del vicolo. Gina poggia le dita lunghe e inanellate sul mio ginocchio, mi fa segno di andare. La lascio ai suoi piaceri giovanili, ai Ferragosti passati, a quando adesso avrebbe pensato a quale costume indossare. Penso che lei è una che sa godersi la discesa, che per entrare in casa sia sempre passata dal Casato e mai da Via Dupré.

Apro la porta. Il breve cenno con la testa del nonno, lo sguardo concentrato sulla carne al fuoco, fa da contraltare all’estro di Gina. Mi balza in testa che Vicolo del Sambuco, nascosto e chiuso in sé, divida le persone in due parti: chi scende e come Gina pone il piacere davanti a tutto e non vede il dovere come un impegno costante; chi preferisce salire, prendere la vita di petto e di responsabilità. Ognuno si attacca al suo estremo, perché qui nulla è piano e già in equilibrio.

Vista dall’alto, però, i più e i meno del vicolo si soppesano. I gradini d’ingresso a forma triangolare (invece che la solita rettangolare), le gambe diseguali delle panchine, il ceppo di legno posto sotto il lato in discesa dei vasi fioriti: nello sforzo di rimanere in piedi, ogni elemento partecipa a uno scopo comune e le diversità si annullano l’un l’altra, in questo vicolo che ti porta a scegliere fra il sudore della salita e la felicità esagerata della discesa.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci