Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Fonte Gaia e gli zampilli di meraviglia

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Centro di incontro di vene e arterie della città, nucleo d’intreccio di cardo e decumano, chiunque voglia scoprire o ritrovare il segreto da cui pulsa e s’irradia la magia di Siena viene qui: in Piazza del Campo.

Quando devo ritrovare il cuore, rispolverare la ragione che detta l’afflusso di sangue ai miei organi, vado anch’io in Piazza. Rispetto ad altre piazze principali delle città, Piazza del campo non scade, non è mai già troppo conosciuta e quindi banale. Offre sempre un che di nuovo da ammirare, che sia una sfumatura di celeste nuova in cielo o un gruppo di ragazzi che in cerchio canta al ritmo della chitarra di sottofondo.

Mi siedo di fianco a Fonte Gaia, al confine alto della conca, dove le lische di mattoni colorate da qualche ciuffo d’erba scendono ripide verso il centro. Ascolto lo scrosciare delle fontanelle e il pesticcio di turisti che accerchia i rubinetti dorati e si affanna ad ingabbiare l’acqua in bottigliette di plastica, prima che le nicchie di marmo bianco la riassorbano e la rimettano in circolo. Stormi di piccioni beccano a terra le briciole cadute fra i mattoni, altri in alto volano dai merli di un palazzo all’altro.

Gioco a immaginarmi le urla di giubilo di quando, dopo otto anni di scavo sotto terra, l’acqua zampillò qui per la prima volta. E ancora, la cocciutaggine mista a irriverenza di Jacopo della Quercia, che ottenuto l’incarico di costruire la struttura decise che la sua fonte non avrebbe avuto trogoli per gli animali, né spazi dove lavare i panni: sarebbe stata bella, bella e basta. Non doveva asservire alcuno scopo pratico, tutt’al più morale: le statue nei pannelli raffigurano infatti le virtù che un buon cittadino doveva possedere.

A furia di tenerle incrociate, ho una gamba informicolita. La scuoto, mi alzo e mi faccio spazio fra i turisti. Un bambino biondo, spalle alle quattro virtù, tiene gli occhi stretti e la mano destra alzata: senza guardarla, mira alla Fonte. Nel pugno racchiuso scalda una monetina. Mi avvicino, poggio le mani sulla ringhiera che mi separa dal bacino d’acqua e seguo fra il movimento dei piccioni l’arco della moneta cadere. Accanto a essa, altre monetine gialle e ambrate e cerchi rugginosi di desideri già esauditi.

Anche se oggi l’acqua scorre comoda e inosservata entro le mura di casa, vederla all’esterno crea sempre zampilli di meraviglia. Oltre il trascorrere dei secoli e le differenze di culture, rimane l’elemento naturale davanti cui ci si confessa, a contatto con il quale gli strati di polvere sedimentati cadono e noi rimaniamo nudi nella nostra ingenuità. Turista di me stesso, frugo anch’io in tasca in cerca di una moneta. Col labiale pronuncio muto un desiderio da lanciare e far depositare sul fondo.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci