Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
“Voi credete che i monumenti restino, mentre voi passate. Che stiano qui, fermi, a testimoniare ogni vostro cambiamento. Non è stato così per me. Sarebbe stata una vita noiosa, senza possibilità di confronto, vedermi passare il mondo attorno e poterlo ricevere da un’unica, inamovibile, posizione.
Era un giorno del 1937, quando arrivarono muniti di caschi e picconi: dietro alle visiere dei lavoratori vidi la mia fine trasparente. Da tempo leggevo nella fretta che nasceva fra la gente la futilità di continuare a far scorrere acqua fresca, potabile, che nessuno più assaggiava. Dietro all’accortezza dimostrata dai motori del nuovo distretto militare intuivo scopi sinistri, rivestiti da una patina di complimenti, fra cui quello di simulare un incidente per togliermi di torno.
Siena vuole bene ai suoi vecchi: mi sradicarono, sì, ma per salvarmi. Tolta dalla Caserma, fui reimpiantata accanto alla Chiesa di Santo Spirito. Poco lontano, penserete voi, eppure nell’esistenza di una fontana tale evento è rilevante. Le divise e le posture ben erette delle guardie che scandivano le mie giornate furono sostituite da signore imbellettate e bambini che si esercitavano nel segno della croce. La mia acqua, che prossima alla caserma offriva speranza di una libertà fisica, iniziò sempre più a essere interpellata per un tipo di libertà differente, invisibile.
A fianco della Chiesa trascorsi la fine del secolo. Allo scoccare del Duemila accolsi le preghiere dei fedeli che il mondo non finisse. L’anno successivo all’apocalisse sventata ogni cosa tornò al suo posto, e così anche io.
Ho abitato due posizioni, senza tuttavia cambiare di rione: quello il mio cuore, forse, non l’avrebbe sopportato. Allora mi offesi, ma adesso riconosco l’intima necessità che avevo di conoscere per intero ciò che lo sgorgare della mia acqua ha battezzato: i miei zampilli, i pispini, da cinquecento anni prestano infatti il nome all’intero rione e la sua porta”.
Raccolgo l’acqua che esce dai pispini della fontana, mi rinfresco il volto e la lunghezza delle braccia. Penso che ciò che ci dà nome può spostarsi, anche quando è di marmo e sembra inamovibile. A volte di poco, a volte sino a divenire intravedibile. Si muove ma sempre entro i nostri confini. E così la fontana dei Pispini: ha cambiato postazione, appartenendo sempre a un luogo solo.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci