Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
“Le auto cominciavano ad affollarsi nel parcheggio sterrato. I genitori frugavano in borsa in cerca dei biglietti e delle mani piccole dei figli. Dopo due anni le tende pesanti del Circo di Vienna tornavano ad aprirsi, e la polvere della pandemia pareva perdersi tra quella della terra battuta. Il banco dei pop-corn aveva accesa la sua stupida musica. Tutto stava di nuovo succedendo. Davanti allo specchio minuscolo della roulotte, seguivo il tendone riempirsi del brusio agitato del primo turno di spettatori.
Mia sorella salì a sistemarmi l’acconciatura. Il numero inaugurale spettava a me. La lasciavo fare a suo modo lo chignon, fissando il vuoto pur non di non inclinare lo sguardo e scorgere dall’oblò il numero di persone accalcate all’ingresso. “Stai benissimo”, mi disse “adesso però vai, tocca a te”.
Dalla pista fino alla punta del tendone rimbombò il mio nome. Quanto tempo, che non veniva pronunciato al microfono. Il faro di luce fece sorgere una platea gremita: ogni poltrona era occupata, migliaia di occhi brillavano e le mani applaudivano colme di aspettative. I muscoli delle mie gambe tese iniziarono a tremare. Mi accarezzai le cosce per calmarli, le mani erano madide di sudore. Come potevo salire così sul trapezio? Mi esibisco da quando sono piccola ma con l’arrivo del Covid, da quasi due anni ormai, la mia famiglia e i miei amici sono stati gli unici ad assistere ai miei spettacoli. Occhi che mi conoscono bene, il cui sguardo non trafigge.
Il faro illuminò al centro, su di me, cospargendo di buio tutto il resto. Affondai la mano nel barattolo al mio fianco, augurandomi che il borotalco asciugasse ogni paura. Chiusi gli occhi e spensi ogni rumore: bambini che urlavano, grandi che nel tenerli buoni facevano ancora più confusione. Incurante di ogni incitamento, afferrai la sbarra. Poggiai dapprima le piante timide dei piedi, vi feci poi scorrere le ginocchia. Il capo si lasciò penzolare all’ingiù. Lasciai le corde: ero sospesa nell’aria. Il trapezio dondolava avanti e indietro, facendo da altalena fra il bisogno di mostrarmi e quello di celarmi agli sguardi. Lassù tornai, dove per la prima volta sono nata. In quel luogo a mezz’aria in cui, per quanti occhi addosso possa avere, solo io esisto”.
Il numero è terminato, la trapezista è tornata con i piedi per terra. Appoggio i pop-corn per applaudire estasiato al suo inchino. Le figure che nell’aria ha composto mi hanno fatto fuggire dalla poltrona che mi accoglie, sollevato con leggerezza i pensieri e portato con lei a immaginare come sia avere un’anima che non è la mia.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci