Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Istituto Santa Teresa d’Avila, la lingua dello stare insieme

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

La strada per andare a scuola la facevo assieme ad Emma. Ogni mattina mi fermavo sotto casa sua, suonavo il campanello e attendevo che il portone si aprisse. La vedevo affacciarsi sulla giornata nuova con le palpebre ancora incollate fra loro, il cappuccio del giubbotto incastrato sotto lo zaino eastpak e il peso dei libri affidato a un’unica spalla. Ero felice di essere il primo volto che vedesse.

Ci incamminavamo. Il sole iniziava a farsi spazio fra i palazzi antichi per infiltrarsi nelle strade del centro. Il Toniolo era per noi una fede, facevamo il linguistico a scuola e nella vita: ogni mattina, sceglievamo una lingua diversa per parlare. Nelle giornate tiepide e riposate poggiavamo sulla delicatezza del francese; in altre, in cui ci attendeva un compito in classe, allontanavamo la paura piegando le nostre bocche sui suoni più duri e concisi del tedesco. L’importante era staccare dalla lingua di casa, l’italiano che i nostri genitori parlavano e che ci risultava adesso così estraneo. In francese Emma fantasticava sui provini che avrebbe avuto quel pomeriggio, sul casting cinematografico di cui sicuramente avrebbe passato le selezioni. Gli aneddoti sulla famiglia erano invece riservati al tedesco, non ammettevano morbidezza. I giochi proibiti con le amiche, allo spagnolo.

 

 

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Parlare un’altra lingua significa staccarsi da sé e reinventarsi: in italiano non avrebbe certo ammesso il suo sogno più grande, né ciò che dentro le mura di casa avveniva. Cambiare lingua aveva il vantaggio di poter nominare quasi tutto.

Arrivati davanti all’Istituto Privato Santa Teresa non sapevamo più, quale lezione ci aspettasse. In poche centinaia di metri avevamo solcato confini fra continenti e viaggiato nelle remote regioni dei nostri incubi e sogni futuri.

Sono anni, che non vedo Emma. Ho provato a suonarle il campanello, non più alla mattina presto ma alla sera. Nessuno più risponde. Davanti all’Istituto Santa Teresa d’Avila il cancello è chiuso, arbusti verdi cresciuti spontanei impediscono l’accesso a quegli anni. Fra tutte le lingue che qui abbiamo imparato a me dentro ne risuona forte una: quella che sottostava e sorreggeva tutte le altre, l’alfabeto unico creato da piccoli gesti e routine giornaliere con cui avevamo imparato pian piano a stare insieme.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci