Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
Percorro Via Montanini, fin dove la strada si biforca fra Via di Camollia e Via Garibaldi. Una voce soave, delicata, da fanciullo, mi fa soffermare davanti al Largo Francesco Bernardi, detto “Il senesino”. La voce a un tratto smette di cantare, e inizia a raccontare:
“Mio padre sognava questo: un figlio perfetto, grazie alle cui doti e meriti potesse riempire di sé la bottega di Piazza del Campo, in cui tagliava la barba a tutta Siena. La prima dote che si manifestò in me, fu quella della voce: in tutta Via Montanini si vociferava che non vi fossero altri neonati con un pianto così acuto e limpido. Fu durante l’Ave Maria che il maestro di cappella del Duomo mi notò e mi avvicinò al canto. Ogni domenica dopo la messa mi fermavo a fare gorgheggi e trascrivere le note sul pentagramma. A nove anni, entrai a far parte del coro della Cattedrale. Nessuno mi aveva mai chiesto se volessi farlo ma mi convinsi che fosse così, quando per le vie di Siena iniziarono a chiamarmi “il cantante”.
Nel coro assieme a me c’era una ragazza. Eravamo piccoli ma iniziai a corteggiarla, e una domenica mattina le promisi che mi sarei presto presentato alla famiglia per chiederla in sposa. Fu quando annunciai i miei propositi, che mio padre si rese conto delle incombenze del crescere: la mia voce iniziava a cambiare, sarebbe rimasta così limpida per qualche mese o poco più. Con la scusa di un grosso raffreddore invernale, chiamò il medico a visitarmi: mi fece spogliare, respirare forte e mi palpò i genitali. Dette appuntamento a mio padre per la settimana dopo. Saltai messe e concerti ma mio padre disse che era per una giusta causa, che avrei dovuto rimanere a casa fino a che non fossi guarito del tutto dal raffreddore.
Mi svegliai da un sonno durato giorni. La testa mi girava, avevo il corpo intero indolenzito e un dolore lancinante al basso ventre ricoperto da fasce. Un urlo scosse le pareti della casa. Non potendo convivere con la sua vecchiaia, mio padre aveva azzerato la mia. La mia voce sarebbe rimasta per sempre quella di un fanciullo. Una volta rimesso fui obbligato a cantare, a intraprendere la promettente carriera che mi attendeva da cantante lirico evirato. Nelle vesti di personaggi storici e mitologici, quelli che meglio si addicevano alla mia voce irreale, conobbi personalità illustri e visitai i teatri più sfarzosi d’Europa. Ero fiero di presentarmi in tutto il mondo come “il senesino”. Ma adesso che son passati trecento anni, posso confessarvi: fra le note più alte che la mia voce toccò, non ve ne fu una a cui la mia anima credette”.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci