Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.
Domenica pomeriggio, spazio di rottura di schemi e consuetudini settimanali. Momento sospeso, in cui i piani di festa giungono a conclusione e i doveri della settimana successiva rimangono lontani. Questa domenica pomeriggio, chiedo a mio babbo di fare una passeggiata: ciò che ho di più vicino – la mia famiglia, la città in cui abito – è ciò che con più facilità passa per scontato e su cui la polvere, inosservata, cade. La domenica pomeriggio, è un buon momento per lucidarlo.
Il nostro fare per le vie del centro è all’inizio impacciato: era tanto che non uscivamo assieme, soprattutto per una semplice passeggiata. Dopo i saliscendi di Via di Città e Vicolo del Tone – intrapresi per tenere il fiato impegnato e non parlare – capitiamo in Via dei Percennesi. Vi capitiamo, sì, perché in questa via è difficile passarvi con uno scopo: la maggioranza dei portoni rimasti è trasformata in garage e la via rimane nascosta fra le parallele e imponenti Via del Casato e Via di Città.
Le origini di Via dei Percennesi sono vaghe: sembra avvalorata l’idea che la vede l’avanzo di un percorso romano proveniente da Castelvecchio, ma non sappiamo molto di più. Per quanto riguarda il nome, i Percennesi sarebbero stati gli abitanti del Castello di Percenna, in prossimità di Buonconvento, che attorno al 1300 migrarono a Siena.
La sensazione che si prova attraversandola è di trovarsi in un retroscena della città. Oltre ad ospitare la stalla dell’Aquila, Via dei Percennesi è la via delle ventole del condizionatore, delle finestre con le inferriate, della muffa sui muri scrostati, dei ciuffi d’erba verdi che spuntano dai mattoni, delle tubature a vista e dei garage con gli attrezzi inutilizzati. I retroscena, mi accorgo, non hanno uno stile proprio: sono il luogo dove l’apparenza si prepara e la perfezione si concede una pausa indispensabile a riversarsi interamente sulla facciata antistante.
Il tempo, mi accorgo, sta inclinando sempre più le mura verso l’interno, in quello che sembra un tentativo di avvicinamento e implosione. Le pareti, invece di essere comunemente dritte e lineari, sono puntellate di aggetti murari che impongono al visitatore un cammino costellato di ostacoli e continue ricalibrature. Camminare per questa via è attraversare la discontinuità dell’essere umano nei secoli: a ogni passo è infatti possibile scorgere un progetto abitativo differente e sovrapposto al precedente. Le intenzioni umane si sono qui succedute, accostate, a fatica hanno trovato una loro originale armonia. Alzando lo sguardo, scorgiamo due archi (un archetto di collegamento fra due palazzi e un arco rampante) affiancare, in maniera del tutto inedita, una volta a botte.
Mio padre ed io attraversiamo la via in solitudine. Lui, sempre avanti, si è adesso voltato: uscito dalla Via e giunto alla Costa Larga, mi osserva passare dentro questi secoli non miei. Il suo sguardo su di me fa riaffiorare come isole dal mare della memoria le principali tappe del mio percorso che finora ho attraversato: alcune fedeli a un progetto unico e riconoscibile, altre così distanti l’una dall’altra. Il suo sguardo fermo e sicuro sembra dirmi che, viste dall’alto e alla fine, appariranno poi come Via dei Percennesi: un insieme cangiante di intenzioni affiancate e sovrapposte, progettate dagli io che mi abitano e si succedono.
Duccio
Testo di Giada Finucci
Foto di Nicolò Ricci