Di Montieri e dei suoi abitanti si raccontano tante storie. Ma quelle terre raccontano invece un passato importante di lavoro, economia, insediamenti ricchi e produttivi.
Raccontano di sacrifici. “Non la troverete mai”, ha affermato uno del luogo, per dire che l’ingresso è quasi inghiottito dal folto bosco, quasi inghiottito dal tempo, nascosto alla vista degli uomini. Ed infatti scoprire l’entrata “sperduta” della Buca delle Fate è stato quasi “magico”.
È una galleria medievale aperta nella roccia silicea rossa in corrispondenza di una frattura naturale della roccia stessa che, probabilmente, ha facilitato lo scavo. Ti metti sulla testa la luce come facevano i minatori del passato (prima ancora usavano lumi e candele) ed entri. La galleria ha una pendenza rilevante ma è lunga solo 14 metri e termina con un pozzo oggi riempito di detriti.
Nella volta del pozzo sono state trovate tracce di minerali di neoformazione consistenti in concrezioni cristalline di calcite, spangolite, nantokite e brushite. Alla sommità del pozzo si vedono ancora incavi e riseghe quadrangolari scavate nella roccia che servivano ad ancorare le travi di sostegno all’argano come altri piccoli vani utilizzati per appoggiare le lucerne durante il lavoro.
L’assenza di evidenze di mineralizzazione di pregio (ricordiamo che siamo al centro delle Colline Metallifere ricche di rame e argento e che il nome Montieri viene da “Mons Aeris” cioè “Monte di Rame”) e la presenza, invece, di una discarica mineraria esterna fa pensare che sia stata una galleria di coltivazione mineraria. Un lavoro, questo, funzionale ai vasti scavi sottostanti individuati nella ben più ampia galleria Santa Maria dei castagni tra il XIX e il XX secolo e, quindi, utilizzata anche come una via secondaria di accesso ai lavori minerari o come condotto di areazione.
Eppure, ancora oggi, calandosi nella gola sotto terra, osservando sulle pareti di roccia i segni ancora visibili dei colpi di piccone non puoi non pensare alle difficili vite degli uomini, dei minatori che trascorrevano le loro giornate in questa (o miniere simili) buie, umide e fredde e pericolose per sfamare le famiglie. Secoli di vite sento in questi pochi metri. Le chiacchiere, i colpi metallici degli attrezzi da lavoro, i brividi ghiacci sulla schiena di sudore e paura.
Poi, con la torcia, illumini le pareti e il soffitto brillano in uno sfarfallio di luci. E speri che siano le ali delle fate che hanno protetto la vita di quegli uomini ed ora ne custodiscono il ricordo.
Maura Martellucci