L’eremo di Motrano (si trova nel folto bosco vicino all’omonima località della Montagnola Senese) è un luogo suggestivo, unico nel suo genere. Unico perché come tutti i luoghi dove cercavano rifugio (pace?) per meditazione e preghiera i mistici del passato vi lasciano, anche per chi li visiterà dopo secoli, un’aurea di suggestione e misticismo.
Un’energia. La dimora eremitica è di fatto addossata ad un’ampia cavità naturale di una rupe calcarea, cui si inserisce e adatta con un sistema di muri e porticati. All’interno, in una parete intonacata, si notano numerose iscrizioni di epoche diverse segno che questo luogo venne abitato da vari personaggi nel corso del tempo e, non a caso, le iscrizioni arrivano fino al XIXesimo secolo. A ulteriore riprova di ciò, intorno al romitorio, si diramano anche una serie di terrazzamenti e di muri a secco che fanno presumere lo sfruttamento collettivo del terreno per la sussistenza di chi vi abitava, e talvolta, viste le dimensioni, erano non una sola persona ma una comunità eremitica.
Il documento più antico che menziona l’esistenza del romitorio di Motrano è una lettera del 1593 in cui si espone la necessità di fra’ Girolamo Savelli da Montalcino, eremita di Motrano, di attestare la sua condizione. Ma in un punto della labirintica costruzione si apre un piccolo caratteristico portale architravato che stilisticamente è databile al XII° secolo, dunque la struttura è ampiamente antecedente.
Dicevamo che Motrano è unico nel suo genere. Lo è, intanto, perché è il solo eremo in Toscana ad avere una fisonomia rupestre. E lo è, unico, per il modo particolare con il quale, chi vi viveva, si riforniva dell’elemento essenziale per la sopravvivenza: l’acqua. Non a caso spesso gli eremi, infatti, sovrastano un fiume, un torrente, un pozzo, oppure vi avevano creato, i costruttori, geniali sistemi idraulici capaci di far scorrere in luoghi impensabili come questo.
A Motrano una parete ingloba una grossa concrezione, una particolare stalattite a forma di mammella che stilla gocce d’acqua. Da qui si è voluto vedere anche un richiamo al culto galattoforo. La sacralità dell’acqua, del resto, è presente in tutte le culture, dagli inizi ai giorni nostri: “l’acqua è considerata fonte e origine d’ogni forma di vita, simbolo di rinascita e rigenerazione, elemento fecondante, sostanza magica e terapeutica”, recita l’Eliade. Unendo a questa un’altra fonte di vita, quella del latte materno, l’immaginario popolare magico aveva originato un numero incalcolabile di sorgenti ritenute galattofore, cioè “portatrici di latte”.
In Toscana il nome più comune è ”Pocce lattaie” sia per la forma della stalattite che ricorda vagamente il seno, sia per il liquido lattescente (per la grande quantità di carbonato di calcio) che il più delle volte scivola lungo la stessa e si deposita all’interno della concavità originata dalla caduta della stessa goccia che erode lentamente la pietra sottostante. Alcune credenze popolari affermano, inoltre, che se la goccia non si limita a scendere lungo la stalattite ma scivolando forma una serpentina seguendo un percorso di rotazione intorno alla stessa, l’acqua risulta efficace non solo per l’allattamento ma anche per curare varie patologie. E le “Pocce lattaie” (che con il Cristianesimo saranno associate alla madre per eccellenza: Maria che nutre Gesù) si trovano in molti luoghi tra cui Lucignano (Santuario della Madonna delle Querce), a Pastina, presso Monte San Savino, a Cetona (la Tomba lattaia), oppure a Monticchiello nelle Buche del Beato Benincasa. Ma questa è un’altra storia e vi “toccherà” la prossima volta.
Maura Martellucci