E’ datato 11 settembre 1348 uno dei primi provvedimenti che il Comune di Siena emana mentre sta scemando l’ondata di peste che per quasi cinque mesi ha colpito la città. E ci fornisce un quadro desolante, non solo di morte, ma anche di criminalità che si è scatemnata a seguito della prima. Si legge, infatti, che molti beccamorti sono stati accusati di furto per aver sottratto oggetti dalle case, camere e anche dai corpi dei malati e dei morti e si impone loro di restituire il maltolto, pena una severa condanna. Logicamente le maglie del controllo sono ancora molto ampie e, almeno inizialmente, il provvedimento possiamo facilmente immaginare come venne disatteso. In questo inizio di settembre è come se Siena (di fatto Siena) si risvegliasse da un lungo incubo e si fa di tutto perchè la cappa di morte si allontani, anche dalle menti delle persone. E’ datato pochi giorni prima, il 9 settembre 1348, il provvedimento in base al quale si proibiva di indossare vesti vedovili e luttuose perché, si precisa, lasciano la città confusa, addolorata e per di più sono spese «inutiles et dapnose». E il provvedimento valeva per uomini e donne, ricchi, poveri, vedovi o vedove ed era esteso a tutti gli abitanti del comune, siano essi residenti fuori e dentro le mura. A causa delle vesti da lutto, si dice, la città è sotto shock e sembra ancor di più circondata di tenebre e dolore e insistere sul lutto impedisce ai superstiti di reagire in modo costruttivo. Una città allo sbando come la descrive Agnolo di Tura del Grasso, testimone oculare di quei terribili giorni: “La città di Siena pareva quasi disabitata, chè non si trovava quasi persona per la città. E poi, restata la pestilenza, ognuno che scanpò atendevano a godere; frati, preti, monache e secolari e donne tutti godevano, e non si curavano lo spendere e giocare, e a ognuno pareva essere richo, poiché era scanpato e riguadagnato al mondo, e nissuno si sapea assettare a far niente”.
Maura Martellucci
Roberto Cresti