Il 16 febbraio 1630 Papa Urbano VIII (al secolo Maffeo Vincenzo Barberini. 1568-1644) dichiara valide le stigmate di Santa Caterina ponendo così fine alla diatriba, che durava da secoli, tra l’Ordine domenicano, a cui la Santa apparteneva (era una Mantellata) e l’Ordine dei francescani, che rivendicavano come uniche stigmate reali quelle di San Francesco.
La diatriba scoppia all’indomani della canonizzazione di Santa Caterina, voluta da Pio II (29 giugno 1461), e va avanti per quasi due secoli. I francescani contestavano il fatto che le cicatrici di Caterina non fossero “visibili”, e i domenicani ribattevano che, come riporta Raimondo da Capua, biografo della Santa, “il Signore amabilissimo aggiunse una nuova grazia, quella di sentire il dolore delle piaghe e che non apparissero le cicatrici sanguinanti”.
Con lo stesso Breve del 16 febbraio 1630 Urbano VIII fece inserire il nome di Caterina nel martirologio cristiano ed estese a tutta la Chiesa la festa in suo onore, che veniva fissata al 30 aprile, perché il 29 aprile (dies natalis) coincideva con la memoria di San Pietro martire. Solo la città di Siena ottenne il privilegio di festeggiare la Santa nel giorno della sua morte (“In questa mattina, prima della Messe solenne, si portava per l’addietro a processione la sacra Testa della gloriosa Concittadina nell’accennato busto d’argento, ma essendosi adesso collocata nel reliquiario di cristallo, in cui può esser sottoposta nel trasporto a qualche maggior pericolo, si porta in sua vece il medesimo busto d’argento, dove sta collocato il dito pollice della mano destra”, scrive Girolamo Gigli nel suo Diario a questa data).
In questo 16 febbraio, ci racconta ancora Gigli, “si fecero in Siena feste solennissime per detta decisione”. I Domenicani dovranno aspettare quasi un altro secolo, il 1727, ed un altro papa, Benedetto XIII (Pietro Francesco – Vincenzo Maria – Orsini. 1649-1730) per ottenere la possibilità di celebrare la festa delle stigmate con rito doppio, con orazioni e lezioni storiche proprie.
Maura Martellucci
Roberto Cresti