Il 29 settembre 1666 fu un giorno memorabile per Siena: dopo due anni di lavori, vari tentativi falliti e vicende rocambolesche, oltre ad un notevole dispendio di energie e soldi (la spesa totale fu di ben 20.054 lire), finalmente la Torre del Mangia aveva una nuova, imponente e bellissima campana. Per issare il campanone furono collocati nel Campo tre argani e ci vollero diversi giorni per tirarlo fino alla sommità della Torre. Il direttore dei lavori, Giovan Battista di Attilio Vieri, che documenta con disegni ed una dettagliata relazione lo svolgimento degli eventi alla data del 29 settembre scrive: “datosi il tiro senza fermarsi arrivò in un quarto d’ora al suo luogo e passato il perno del chiavardone per mezzo del cappello o cerchio di bronzo, M.
Girolamo Santoni il Campanaio che lo fece, essendo con il paletto di ferro in mano, l’inchiavardò e fermò a hore 19 e mezzo in circa…datosi segno alla Città con il suono delle Campane della Torre”. Vieri, orgoglioso di aver terminato un’opera così complessa, aggiunge che il campanone “é riuscito in grandezza et in peso il maggiore che a’ nostri tempi sia in Italia”. Infatti, per far posto all’imponente campana era stato tolto anche il Mangia, ma restava, così, il problema di fornirla di un batacchio di adeguata grandezza per farla suonare. Invano si cercò di restaurarne uno vecchio che si trovava negli uffici di Biccherna e si dovette commissionare un lavoro apposito.
Il campanone (che venne fuso nel cortile del convento di San Francesco), sistemato come lo vediamo ancora oggi, proprio per la sua mole indusse il popolo a ribattezzarlo: una campana così grossa non poteva portare il nome femminile di quella che l’aveva preceduta “Maria Assunta” e così, data la sua imponenza, divenne, allora e per sempre, “Sunto” (ma anche questa, logicamente, era stata consacrata a “Maria Assunta”, patrona e regina di Siena, durante la benedizione fatta con “acqua e olii santi” celebrata il 14 novembre 1665 dall’arcivescovo Ascanio Piccolomini, insieme ad otto preti e dieci chierici).
Oggi, ammiriamo Sunto dove venne collocato nel 1666 ma il suono non è più lo stesso: nel 1831 una crepa ne fece bloccare l’uso. Inizialmente si pensò di rifonderlo ma i costi e il lavoro sarebbero stati fuori “portata”, per cui vennero incaricati due tecnici, Vincenzo Gani e Luigi Rossi, di accomodare la fenditura. Il lavoro fu soddisfacente ma rimase un taglio nel bordo della campana, che esiste tuttora e che conferisce a Sunto la “sonorità grave e roca” dei suoi rintocchi che tanto fanno tremare i nostri cuori.
Maura Martellucci
Roberto Cresti