Il 26 marzo 1319 il vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala emana il decreto di erezione di quello che diventerà il futuro monastero di Santa Maria di Monte Oliveto, da istituire “sub regula sancti Benedicti”. Con questo legato Bernardo (nato Giovanni) Tolomei, che dal 1313 si era ritirato a vita eremitica con i suoi seguaci, tutti appartenerti alle più importanti famiglie senesi, in un terreno di famiglia nella diocesi aretina (ecco il motivo e l’importanza del decreto del vescovo Tarlati), accoglie la sua professione monastica. Bernardo accetta il cenobitismo benedettino e nel desiderio di onorare la Madonna indossa un abito bianco.
Il 1° aprile del 1319 nasce il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore con la posa della prima pietra della chiesa. Il nome del monastero viene scelto per il richiamo al culto mariano e al Monte degli Ulivi di Gerusalemme, luogo dell’agonia e della cattura di Gesù. Gli eremiti diventano così monaci secondo la Regola di San Benedetto, pur imponendo alcuni mutamenti istituzionali come la temporaneità dell’ufficio abbaziale: l’abate eletto deve essere confermato dal vescovo di Arezzo (documento episcopale datato 28 marzo 1324). Il primo abate è Patrizio Patrizi, eletto il 1° settembre 1319. Perché non Bernardo? Perché con la “scusa” della vista declina la carica (come sempre nella vita egli rifugge cariche e posizioni di prestigio). Successivamente divengono abati Ambrogio Piccolomini (1320) e, poi, Simone di Tura (1321). Ma nel 1322 Bernardo non può più opporsi al desiderio dei suoi confratelli e diviene il quarto abate del monastero di cui era fondatore e rimane in carica fino alla morte (nonostante i suoi ripetuti tentativi di cedere la posizione). Il 24 dicembre 1326 il cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensa dal difetto visivo l’abate Bernardo per convalidare l’avvenuta elezione e da Avignone, Clemente VI, approva la Congregazione già formata da 10 monasteri, con tre Bolle pontificie. Una prova significativa della personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione e, per ventisette anni consecutivi, fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno.
Un altro atto di fiducia lo ha dal Capitolo Generale quando i monaci gli concedono di decidere senza, necessariamente, dover consultare il Capitolo e i fratelli, perché coscienti che egli avrebbe agito in conformità alla volontà di Dio e per il bene di tutti. L’adesione alla regola benedettina si manifesta, in maniera programmatica, nella pratica religiosa: quella della preghiera ma anche del lavoro nei campi. Tuttavia quando, nel 1348, a Siena arriva la peste i monaci di Monte Oliveto, guidati da Bernardo, abbandonano il loro monastero (che li avrebbe probabilmente messi al riparo dal contagio) per tornare in città a curare gli appestati. E molti di loro, in questa opera di misericordia, ci lasciano la vita, fra i quali, appunto Bernardo. Il suo corpo non è mai stato ritrovato, perché, come tutti i morti di peste, venne gettato in una fossa comune.
Maura Martellucci
Roberto Cresti