A Siena il libro del procuratore Tescaroli: “Si renda più appetibile la collaborazione. E si estenda il sistema dei pentiti ai non italiani”

Per il collaboratori e per il testimone di giustizia “serve una riforma che renda più appetibile la collaborazione, rafforzando al contempo l’operatività del servizio di protezione”.

Lo ha affermato il procuratore capo Luca Tescaroli a margine della presentazione del suo libro “Pentiti” al Santa Maria della Scala. L’evento fa parte del ciclo “Pagine di Legalità”, un’iniziativa volta a promuovere la cultura della giustizia e dell’antimafia attraverso la letteratura e il dibattito pubblico.

“Un nodo critico  – prosegue – riguarda il trattamento riservato ai collaboratori rispetto agli irriducibili: le recenti decisioni della corte costituzionale e della corte europea hanno reso più vantaggiosa la detenzione per chi non collabora, equiparando in parte i due percorsi”.

Le due figure appena citate, per Tescaroli, “svolgono un ruolo essenziale nella lotta alla criminalità organizzata. I successi giudiziari degli ultimi quarant’anni sono in gran parte legati al loro contributo, sia per l’individuazione di depositi di armi e munizioni, sia per la cattura di latitanti. Negli ultimi anni, però, le mafie si sono evolute, con una crescente presenza di gruppi criminali stranieri come albanesi, cinesi e nigeriani. Per questo, sarebbe opportuno estendere il sistema di protezione anche ai collaboratori non italiani – ha aggiunto-, garantendo strumenti più efficaci per contrastare le nuove forme di criminalità”.

Ed ancora: “È fondamentale garantire che il cambio di identità per i collaboratori di giustizia non rappresenti un ostacolo al loro reinserimento nel mondo del lavoro. Attualmente, i crimini commessi restano visibili nei certificati penali e nei carichi pendenti, anche dopo l’assegnazione di una nuova identità, rendendo difficile per queste persone trovare un’occupazione – ha continuato Tescaroli-. Quale imprenditore assumerebbe qualcuno con un passato segnato da reati gravi? Per questo, sarebbe necessario evitare che il precedente profilo giudiziario venga trasferito alle nuove generalità”.

Un altro aspetto cruciale secondo il procuratore riguarda “la riduzione del periodo di detenzione prima di poter accedere ai benefici della collaborazione. Attualmente fissato a dieci anni, potrebbe essere abbattuto per incentivare maggiormente la scelta di collaborare con la giustizia”.

Attualmente, il periodo di detenzione minimo per un collaboratore di giustizia è di dieci anni. A quanto andrebbe ridotto? “Potrebbero essere valutate diverse soluzioni – la sua risposta-, ma la priorità resta quella di rendere la collaborazione più vantaggiosa e accessibile. Diminuire questo limite potrebbe incentivare un maggior numero di esponenti delle organizzazioni criminali a collaborare, contribuendo così in modo significativo al contrasto alla criminalità organizzata”.