Il 3 settembre del 1260 l’esercito senese è già pronto alla partenza. In San Cristoforo, è stato deliberato di rispondere alla minaccia fiorentina dato che ormai è certo che le loro manovre non servono a portare rifornimenti ma ad attaccare la nostra città e, come vuole la leggenda Salimbene de’ Salimbeni era arrivato con una carrettata di monete d’oro per finanziare l’impresa (ora Salimbene di Giovanni Salimbene esisteva davvero, era un personaggio importante, ma il birbo stava tenendo il piede in due staffe: avessereo a perdere questi senesi). Insomma siamo alla vigilia della battaglia di Montaperti e l’esercito senese-ghibellino esce da Porta San Viene, diretto al Poggio delle Ropole, in prossimità dell’accampamento fiorentino-guelfo, che si era spostato nel frattempo sul Poggio delle Cortine, da dove poteva controllare i movimenti dei ghibellini. La leggenda nata dalla cronaca di Niccolò di Ventura (rieccoci) racconta che la “mossa” (la citazione fantastica e la ricostruzione è stata fatta puntualmente da Giovanni Nanni Mazzini) dell’esercito di Siena alla volta della valle dell’Arbia, fu fulminea: il bando di convocazione dell’esercito fu promulgato nelle prime ore del 3 di settembre e che l’intera armata si radunò in un batter d’occhio; tanto che ancora prima dell’alba tutto l’esercito simultaneamente uscì da Siena e si trovò già “a la volta di Vigniano”, intasando tutta la strada da quel luogo fino alla porta cittadina di San Viene, da cui le truppe erano uscite. Dopo aver atteso che facesse giorno presso al bivio che dalla strada principale portava appunto alla località di Vignano, l’esercito svevo-senese avrebbe attraversato il torrente Bozzone andando poi ad accamparsi dalle parti di un poggio detto “Ronpoli”. Ciò appare veramente difficile da credersi. Ve lo immaginate tutto un esercito, tutto insieme che esce dalla città? In realtà ci furono alcuni giorni (anche se pochi) di preparativi e che l’esercito. La partenza dell’esercito e la sua uscita da Porta San Viene, quindi, avviene in più scaglioni, per evitare un enorme e dannoso ingorgo. Del resto, poi, le modalità di reclutamento del Comune hanno i loro tempi: sono chiamati a combattere tutti i cittadini e gli abitanti del contado abili all’uso delle armi, in età compresa tra i 16 e i 70 anni. Vengono chiamati fanti e cavalieri, oltre al corpo scelto di balestrieri, fiore all’occhiello della milizia senese, e ai pavesari, incaricati di riparare gli arceri sotto un grande scudo di legno a forma rettangolare, il pavese appunto, al momento di scagliare i dardi e soprattutto di ricaricare le balestre. Non mancano maestri di pietra, legname e mannaia, necessari per innalzare le opere d’assedio e gli zappatori utili per scavare trincee e fossati mentre i suonatori sono chiamati per assicurare la circolazione delle comunicazioni marziali. Un giorno, in realtà, non sarebbe servito nemmeno a mandare le ambascerie alle forze sparse sul territorio in altre operazioni.
Poi la leggenda (rieccola) racconta anche che i senesi, una volta giunti in prossimità dell’accampamento) fecero sfilare il proprio esercito per tre volte davanti ai nemici, cambiando ogni volta le sopravvesti con i colori dei Terzi di Siena, cercando di far credere che le proprie forze fossero tre volte più numerose di quanto lo fossero in realtà.
Sì, ma se tutto è leggenda che cosa successe “davvero” in quella vigilia? Di cosa fecero “davvero” i senesi non si sa nulla, ma di ciò che avrebbero fatto “davvero” i fiorentini si sa. Avrebbero fatto, alla vigilia, una marcia di svariati chilometri (di notte, con i cavalli, i carri, le salmerie, attraverso la campagna, con strade che sono solo sentieri impervi e attraversando almeno due fossi) per spostarsi da Pieve a Pacina a Montaperti. Perché, e questo è sicuro: annotazioni dei notai fiorentini, nero su bianco, la sera del 3 l’esercito fiorentino è appunto Pieve a Pacina. Che ci fa, e perché c’è andato, la mattina dopo, a Montaperti? Alcuni anni fa il compianto Carlo Bellugi scrisse, su questo, un libro che, al momento fece scandalo: la battaglia, sostenne, non si svolse a Montaperti. A Montaperti ci approdò, la sera del 4, l’onda lunga dei fiorentini in fuga. Lo scontro fu altrove. Ed è anche possibile. Questo dissacra il luogo tradizionale? il cippo storico? la memoria affettuosa per quella collinetta? Ma nemmeno per sogno: non dissacra nulla. Che si siano ammazzati tre chilometri più in qua o tre chilometri più in là è la stessa. E la memoria identitaria di quella giornata resta sintetizzata da quella piramidina sul cucuzzolo, dove la conosciamo. Tutto il resto è questione, serissima, da ricerca storica e archeologica, ma nel nostro caso è del tutto secondaria perchè ormai, in quel 3 settembre i due eserciti sono pronti alla leggendaria battaglia che si consumerà il giorno seguente. E, confesso, nascosta sotto un’armatura (tipo Eowyn de “Il Signore degli anelli) avrei voluto esserci anche io!
Maura Martellucci
Roberto Cresti
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