Diciamocela tutta: i francesi, fra la fine del Sette e l’inizio dell’Ottocento, avranno anche portato in giro in Europa i principi fondanti della democrazia, ma erano di gran rompicoglioni, arroganti e presuntuosi.
Quando arrivano a Siena mettono bocca anche nel Palio e nelle contrade: la Giraffa non va bene, perché sembra la bandiera dei Lorena; e nemmeno la Torre perché è rossa, ma c’è il bianco e anche lei potrebbe richiamare il granducato; l’Aquila men che meno perché ha il simbolo dell’Impero; e la Tartuca, no!, per l’amor del cielo, è gialla e nera come l’Austria; la Pantera invece ha i colori della Francia e allora toujours on acclame la Panthére. Qualche imbecille di comandante giacobino (che in questo caso è un italiano) scambia il Palio per una carnevalata e impone di correrne uno, in Piazza, l’8 febbraio e non sente ragioni anche se i senesi gli fanno notare l’impraticabilità della proposta. Meno male che la notte prima nevica e questa pagliacciata si sgonfia da sola.
Quello che, invece, non si sgonfia è l’esproprio che i francesi, in età imperiale napoleonica, fanno della festa dell’Assunta, la più sentita dai senesi. Il 15 d’agosto, infatti, in tutto l’Impero non si celebrerà la Madonna, ma San Napoleone. San Napoleone? E chi cavolo è San Napoleone? Il tutto nasce perché il Bonaparte ha un nome di battesimo che non trova riscontro in nessun santo del calendario e quindi – caso disdicevole – il grande sovrano non gode di un protettore celeste (è un nome “adèspoto”, come si definisce: per dire, anche il mio è un nome adespoto, ma mica rizzo tutto ‘sto po’ po’ di casino. Ah vabbeh…è perché io non sono imperatore? Via! Son dettagli).
Per compiacere il sovrano, un cardinale suo fedelissimo, Giovanni Battista Caprara Montecuccoli, si inventa, pertanto, un santo con questo nome e va a scovare un pressoché ignoto martire egiziano di Alessandria, che sarebbe stato ucciso nel 304. Ma il personaggio, per la verità, si chiamava Neòpolo e ce la dovettero mettere tutta per trasformarlo in Napolèo, che poi sembra più il nome di un gatto che di un santo.
Tutto questo per appiccicare di peso (era stato ucciso in maggio) il povero martire al 15 agosto, data che con lui non c’entrava niente, ma che era quella di nascita dell’empereur. In questo modo, peraltro, si metteva in ombra la memoria della festa che, in Francia, si celebrava in quel giorno dal 1638, quando Luigi XIII aveva votato la nazione alla Madonna.
Abolita con la Rivoluzione, la celebrazione di questa dedicazione era diventata la bandiera dei controrivoluzionari e la festa di San Napoleone, applicata a quella data, voleva, adesso, essere, da un lato, il segnale della cancellazione del ricordo dell’Ancien Regime, ma anche, al tempo stesso, un segnale di riconciliazione fra le due anime della Francia, a lungo sanguinosamente contrapposte.
Il manifesto senese con il programma del palio di San Napoleone, il 15 agosto 1810, infatti, esplicita che la corsa (che si effettuava alla lunga e senza le contrade, sia chiaro) intende celebrare, nell’ordine, l’Assunta, San Napoleone e il ristabilimento della fede cattolica in Francia.
Poi Napoleone fece la fine che sappiamo, e con lui anche la sua grottesca festa onomastica (peraltro a malapena sopportata nella stessa Francia) e il 15 agosto tornò ad essere, almeno a Siena, solo e unicamente la festa di Santa Maria Assunta, regina della città e del suo antico Stato. Com’era sempre stato.
Neòpolo, finalmente dismesso il suo imbarazzante alias di Napolèo, tornò a godersi tranquillo la silenziosa e opaca pace dei santi minori, ringraziando il Padreterno che si fosse fatta finita di tirarlo per la giacchetta e di coinvolgerlo in cose in cui non c’entrava niente.
Ma i francesi non avevano fatto solo questo. Cos’altro? Leggetevi “Il Palio di Siena. Una festa italiana” (edizioni Laterza) e lo saprete: fare spoiler è di cattivo gusto.
Duccio Balestracci
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