Siena

Al Santa Maria della Scala la seconda vita del Masgalano “sospeso”

Ci risiamo. Siamo di nuovo nei giorni del “palio che non c’è”, ma il fatto di averlo già provato a luglio non aiuta: questa mancanza fa male lo stesso.

E allora, in questa estate di emozioni non vissute non possiamo che aggrapparci ai ricordi, per cercare di rivivere almeno un po’ quei momenti che non ci sono e che non torneranno.

Chiara Tambani, l’artista che ha realizzato il Masgalano del 2019, ha scolpite nel cuore le sensazioni, tutte dalla prima all’ultima, che la sua opera ha originato, dalla complessità del percorso per la realizzazione, alla felicità del momento in cui è stato svelato alla città, la sua città. Lei che è senese e contradaiola (del Drago) e che a 58 anni ha coronato un sogno professionale,contando solo sulle sue forze e sulle sue capacità.

“In realtà lo sto ancora continuando a vivere quel Masgalano – racconta la scultrice – anche perché ha avuto lo strano destino di rimanere “sospeso” e questo mi ha colpito. Da quando ne è stata ripristinata l’assegnazione all’inizio degli anni ’50, non era mai successo che il Masgalano non venisse realizzato, a differenza dei drappelloni, che nel periodo della guerra, per esempio, hanno avuto questa sorte. Quest’anno invece non si è girato pagina ed io ho avuto un tempo di decantazione lungo per ripensare la mia opera”.

La ‘seconda vita’ del Masgalano 2019, offerto dall’Auser comunale di Siena e dedicato al volontariato ed al legame con le Contrade e il territorio, è visibile in questi giorni sul sito del Santa Maria della Scala, dove si possono ammirare quattro collage, realizzati da Chiara Tambani, che ne raccontano la genesi.

“A me capita quasi sempre di lavorare in seconda battuta con le mie sculture – aggiunge l’artista -. Quando un’opera è terminata non resta un oggetto fine a se stesso per me, anzi mi “parla”, interagisce con me e mi dà ispirazione. Quando ci lavoro in un secondo momento è perché voglio comunicare un vissuto interiore che l’opera in sé magari non riesce a raccontare. Così è accaduto con il Masgalano. Se si osserva per esempio il collage dove io salgo la scala del Santa Maria, quella scala rappresenta le cose belle e intense (come per me l’incarico di realizzare il masgalano) ma faticose. E’ la scala che tutti noi abbiamo nella vita, con le sue difficoltà da risolvere. Infatti, se ci fate caso, il bacile è in fase di lavorazione, è ancora da cesellare. E le dimensioni tra me e l’opera sono sproporzionate perché è qualcosa che da un punto di vista emotivo mi sovrasta.

L’altro collage invece che raffigura me e il masgalano su una barchetta in una sorta di canale nel cielo del Santa Maria della Scala, con i palazzi al rovescio sta a significare un percorso che giunto alla fine mi consegna ad una parte di storia di Siena.

Poi c’è quello che raffigura la facciata del Santa Maria con una pioggia di masgalani. Se si ingrandisce l’immagine si vede che sono le varie fasi della lavorazione del masgalano: il calco di creta, gesso e cera, prima di diventare in bronzo e poi essere argentato. In più ci sono le cose care, gli affetti: c’è un frammento della bandiera del Drago, la mia contrada, un pezzetto di un braccialetto della Giraffa, la contrada della mia mamma, a cui sono molto legata e che per me è come una seconda famiglia. E c’è anche un buco nell’asfalto dove è cresciuto un ciuffo d’erba, che richiama il mito naturalistico a me molto caro.

Il collage dove indosso il masgalano come una maschera invece è un po’ più complesso come interpretazione. E’ una rappresentazione ironica della simbiosi con l’opera. Diciamo che vuole sintetizzare il dibattito tra l’iconografia tradizionale (quella del palio e del masgalano) e la contemporaneità, due mondi che in alcune circostanze si nutrono a vicenda, attraverso un rapporto filologico tra il contemporaneo, la tradizione e la cultura popolare.

Un’operazione di rinnovamento linguistico che vuole far riflettere sulla necessità di aprire un dibattito: l’arte, come tutti gli altri linguaggi, si evolve e Siena è fra i luoghi importanti dove è attesa una processualità atta ad un’ulteriore emancipazione nel dialogo con il mondo”.

Niccolò Bacarelli

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Niccolò Bacarelli

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