E’ appena uscito il Report di ARPAT che riassume lo stato di qualità dei corsi d’acqua, dei laghi e delle acque di transizione (lagune costiere ecc.) della nostra regione, riferito al triennio 2016-2018. Il Report è frutto di un monitoraggio di 3 anni delle acque regionali, realizzato sia con analisi chimiche per la ricerca di inquinanti e sostanze pericolose, sia con analisi di tipo biologico su piante acquatiche, diatomee (alghe microscopiche) e macroinvertebrati (insetti, crostacei, ecc.). Mancano tuttavia ancora da mettere a punto e monitorare, per problemi tecnici e di risorse, altri indicatori di qualità richiesti dalla Direttiva Acque, come l’indice NISECI relativo alle comunità di pesci, l’indice di qualità morfologica (IQM) delle pertinenze fluviali, ovvero l’indice che permette di verificare la qualità delle sponde e di tutto l’alveo del fiume e degli ambienti contigui ad esso, e il contenuto di sostanze pericolose nei pesci, tutti indici che potrebbero contribuire a capire ancora meglio le problematiche dei nostri corsi d’acqua. Proviamo a fare un riassunto dei risultati di ARPAT, che ci danno un quadro decisamente preoccupante dell’ambiente acquatico della nostra regione. Solo il 40% dei corsi d’acqua analizzati è risultato in stato ecologico buono o elevato, e solo il 63% in stato chimico buono. Per il laghi e le acque di transizione la situazione è ancora peggiore perchè solo il 28% dei laghi analizzati e l’8% delle lagune costiere raggiunge lo stato buono o elevato. Inoltre, si tratta senz’altro di una situazione sottostimata e che potrebbe essere molto più grave, visto che le analisi di qualità chimica ed ecologica riguardano meno di 300 corpi idrici su oltre 700, a causa delle scarse risorse riservate dalla Regione all’ARPAT. E anche sui corpi idrici monitorati molto spesso i punti di monitoraggio sono solo uno o pochi di più, anche per corsi d’acqua lunghi chilometri. Evidentemente la regione non ritiene importante avere sotto controllo un bene primario come l’acqua e gli ecosistemi fluviali che la mantengono pulita e utilizzabile. Preoccupante è anche l’impatto sui fiumi dei tagli della vegetazione e delle riprofilature, che ormai ben consociamo e che ARPAT denuncia come altamente impattanti, al punto di impedire la realizzazione delle analisi perchè dove vengono fatti questi interventi non rimane praticamente più niente da analizzare. Questa la denuncia testuale contenuta nel Report: “Negli ultimi anni si sta assistendo sempre più frequentemente a situazioni di forti alterazioni dell’ambiente di pertinenza fluviale, tali da rendere impossibile l’esecuzione del campionamento per gli indicatori biologici, che prevede la discesa e la permanenza in alveo per la raccolta, con gli appositi retini surber, di individui rappresentativi dei vari taxa animali e vegetali. Alcune situazioni sono da attribuire a condizioni ambientali, quali periodi di forti siccità seguiti da importanti fenomeni di piena, ma la maggior parte va attribuita alle modalità operative, altamente invasive, di alcuni Consorzi di bonifica. […]. Le alterazioni dovute a taglio raso della vegetazione sia arbustiva che arborea, alla risagomatura delle sponde, alla rettificazione di tratti fluviali, all’uso di macchine operatrici direttamente in alveo, alla frantumazione della materia organica [NdA: legno e foglie] tagliata in alveo ed altro ancora, di fatto uccidono flora e fauna, per la cui ri-colonizzazione sono necessari tempi lunghi ben oltre l’anno. La conseguenza di tali attività invasive è un degrado della qualità ambientale […] Inoltre, il numero di campionamenti effettuati viene di fatto ridotto, perché una attività così invasiva nei corsi d’acqua impedisce il campionamento di comunità animali e vegetali, così come sarebbe richiesto dalla Direttiva Europea 2000/60. […] Pur consapevoli che l’attività del Consorzio di Bonifica è dettata dalle necessità di prevenzione del rischio idrogeologico, non possiamo non considerare che il degrado ambientale conseguente, in un certo senso “indotto”, contribuisce al progressivo allontanamento dall’obiettivo previsto dalla Direttiva Europea 2000/60 EU di raggiungere lo stato ecologico buono su tutti i corpi idrici naturali entro il 2021 o 2027“. Sarà contento il Presidente della Regione Enrico Rossi, che ha fatto dello slogan “Fiumi mai più a briglia sciolta” il suo motto di governo, pretendendo più volte lo sterminio della “Boscaglia selvaggia” e avvallando, insieme al suo assessore competente Federica Fratoni e ai relativi Settori regionali, interventi di riprofilazione e di taglio devastante per i corsi d’acqua. Più volte tali interventi sono stati denunciati dalle Associazioni e dai cittadini, ma sono stati sempre ritenuti “in linea con le leggi” dai nostri governanti. Evidentemente qualcosa non torna, perchè il risultato di questa politica è stato chiaramente descritto da ARPAT: i nostri corsi d’acqua, già provati da reflui di depuratori poco efficenti o inestenti e dai pesticidi agricoli, sono ulteriormente attaccati dai Consorzi di Bonifica ma anche da tagli boschivi di privati sempre ritenuti “in regola” (vedi i recenti tagli sul torrente Farma). I cittadini e le Associazioni si interrogano e comincino a mettere in dubbio l’operato della Regione Toscana, dato che persino l’ARPAT, solitamente cauta nel dare giudizi, giunge ad accusare esplicitamente altre istituzioni regionali. Forse è giunto finalmente il momento di riconsiderare le politiche di gestione dei corsi d’acqua; forse è giunto il momento di considerare laghi, torrenti, fiumi come nostri alleati contro gli effetti dei cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità, invece che trattarli alla stregua di canali e pericolosi ambienti da imbrigliare e distruggere. Il materiale da leggere sul tema è ormai tanto, non resta che impegnarsi un pò per capire di più e pretendere un migliore governo del nostro territorio e del nostro futuro.