La lotta alla diffusione del virus Zika passa anche da Siena, nell’ambito del progetto di ricerca Horizon 2020 finanziato dall’Unione europea. I ricercatori del Dipartimento di Biotecnologie, chimica e farmacia dell’ateneo senese – in quanto parte del gruppo internazionale di ricerca ZikAlliance – avranno il compito di sviluppare specifici farmaci volti ad arginare la diffusione del virus e ad accelerare il processo di guarigione. Il professor Maurizio Botta, chimico farmaceutico alla guida del team dei ricercatori, sarà affiancato dalla professoressa Elena Dreassi, esperta di analisi del farmaco. Collaboreranno inoltre un gruppo di giovani ricercatori: Annalaura Brai, esperta in sintesi chimica, Iuni Trist, specializzata in chimica computazionale, e il dottor Claudio Zamperini, che si occuperà di analisi e veicolazione del farmaco.
Ad oggi il virus Zika ha varcato i confini di oltre 70 Paesi. Appartenente alla stessa famiglia del virus della febbre gialla e della dengue, si trasmette principalmente attraverso la puntura di una particolare specie di zanzara chiamata Aedes. Il contagio avviene nel momento in cui l’insetto, dopo aver punto un soggetto infetto, ne punge un altro; oppure attraverso un rapporto sessuale non protetto con una persona che ha contratto il virus. Sono stati inoltre registrati casi di contagio dei feti di donne che si sono ammalate durante la gravidanza in prossimità del parto.
I sintomi più comuni sono febbre, eruzioni cutanee (sotto forma di piccole macchie rosse), congiuntivite, mal di testa, astenia, dolori muscolari e articolari, e hanno una durata che può variare da un minimo di due giorni fino ad un massimo di una settimana. Si tratta, quindi, di sintomi non particolarmente gravi, e circa 4 soggetti su 5 non manifestano alcun sintomo. Come per l’influenza, non c’è una cura specifica per il virus e non c’è altro da fare se non attendere che l’organismo sviluppi le . Le cure consistono esclusivamente in riposo e trattamenti sintomatici per la febbre e i dolori muscolari/articolari.
Ad aprile del 2015 l’Organizzazione Mondiale della Sanità lanciava l’allarme in seguito all’epidemia di Zika, scoppiata all’inizio dello stesso anno in Brasile. Ma non stiamo parlando di un virus del tutto sconosciuto: è nel 1947, infatti, che fu isolato per la prima volta in Uganda da un primate nella foresta di Zika (che significa letteralmente “coperto di vegetazione”, ndr). Due anni più tardi in Nigeria il virus venne individuato nell’uomo, anche se i casi resteranno circoscritti ad alcune zone dell’Africa e del sud-est asiatico. Nel 2007 un focolaio venne rilevato in Micronesia, per poi diffondersi nel 2013-14 in alcuni arcipelaghi della Polinesia e nelle isole Cook. Da qui, il virus ha poi raggiunto il continente sudamericano.
Attualmente non esiste un vaccino contro la Zika. Per questo motivo l’OMS consiglia a chi si reca nei Paesi a rischio di adottare tutti gli accorgimenti volti ad evitare le punture di zanzara (repellenti contro gli insetti, utilizzo di abiti chiari che coprano la maggior parte del corpo, ecc.), fino a tre settimane dopo il loro ritorno a casa. Le linee guida ufficiali raccomandano inoltre l’uso del profilattico in caso di rapporti sessuali con soggetti che vivono o provengono dalle aree in cui circola il virus. Per le donne in gravidanza resta invece fortemente sconsigliato recarsi nei Paesi in cui il virus è particolarmente diffuso, a causa del pericolo a cui verrebbe esposto il feto in caso di infezione da Zika.
Sulla base di alcuni recenti studi, c’è consenso all’interno della comunità scientifica sul fatto che il virus Zika sia una delle cause della sindrome di Guillain-Barré e della microcefalia.
Nel primo caso si tratta di una rara condizione in cui lo stesso sistema immunitario attacca una parte del sistema nervoso. Nonostante la maggior parte delle persone guarisca completamente, nel 20% – 25% dei casi vengono colpiti i muscoli del torace, con conseguenti difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi (che fortunatamente sono piuttosto rari) la malattia può portare alla paralisi.
La microcefalia, invece, si verifica quando la testa di un bambino resta più piccola di quella degli altri dello stesso sesso e della stessa età. Nel 2015, in Brasile si sono verificati oltre 3.500 casi di microcefalia, mentre l’anno precedente erano stati soltanto 150 circa. I soggetti microcefalici presentano di frequente problemi evolutivi nel corso della crescita, spesso accompagnati da deficit cognitivi, anche se taluni hanno uno sviluppo che rientra perfettamente nella norma. La microcefalia può inoltre essere provocata da molteplici fattori ambientali e genetici: sindrome di Down, infezione da rosolia, esposizione a droghe, alcool o altre tossine durante la gravidanza.
Altri studi – che tuttavia non consentono al momento attuale di esprimere giudizi definitivi – sostengono che l’esposizione al virus Zika sarebbe collegata con l’insorgere di ulteriori disordini neurologici, quali ad esempio la mielite (l’infiammazione del midollo spinale, ndr). L’OMS sta indagando al fine di stabilire se e quale tipo di correlazione esista.
Giulio Mecattini
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