Il Consorzio Archè si racconta, attraverso Siena News: le cooperative sociali che accompagnano letteralmente le persone lungo l’intero percorso della vita, hanno molto da dire e altrettanto da trasmettere. La cooperativa sociale ha un ruolo importante nell’aiuto alle persone svantaggiate ma la ricchezza delle stesse cooperative deriva dalle storie degli individui che ne fanno parte. Ecco perché abbiamo deciso di proporre ai nostri lettori qualcosa di nuovo rispetto a sempre, qualcosa che non va mai oltre la realtà e che a volte non ha un lieto fine ma che di sicuro, non ci lascia mai come prima che leggessimo queste storie. Ecco il nostro modo per augurarvi Buone Feste!
“Un frullar d’ali sembrò quel mattino, il tempo di quando entrai in cooperativa. Come erano verdi i campi, sembravano perfetti, i frutti calavano giù dalle piante mentre Filippo scorrazzava con il trattore, arando e solcando la terra. I miei compagni di lavoro erano a fare colazione nella prima casa, quella dove risiedeva e impartiva gli ordini Andrea Friscelli, il Presidente della Proposta, con Braccagni come segretario, c’era il Bielli, un fiorentino della Lazio, che cantava gli inni della squadra del suo cuore. Quella mattina la colazione consisteva in pomodori, cipolle e peperoni conditi con olio del frantoio. Era circa un anno che lavoravo i campi e badavo alle bestie. Riepilogando le cose andavano bene, io avevo ancora la mamma, che per me era tutto, il suo amore mi inondava di benessere. A lei quando raccontavo la mia giornata le brillavano gli occhi di gioia, povera mamma! Fin da allora, dopo qualche tempo, cominciai a scrivere poesie, il che mi svagava molto e mi gratificava molto. Attualmente sono sempre in cooperativa, essendo come la mia seconda casa. Chiusa la storia”.
Questo scriveva, molti anni fa Roberto Caracciolo, Robertone, da sempre per tutti noi che All’Orto de’ Pecci, o meglio, alla cooperativa La Proposta viviamo e lavoriamo. Parole che vengono da lontano, Roberto manca ormai da anni, ma che possono essere state scritte ieri, questa mattina. Sì, perché, questa volta i nostri “quattro passi” li facciamo in città, in quella che è “la mia seconda casa”, proprio come se la sentiva Roberto, in quel luogo che, per fortuna, molti senesi vivono e sentono come il loro “luogo del cuore”.
No, non vi tedierò con la storia della Valle di Porta Giustizia e dei condannati a morte che di qui passavano per andare al Patibolo. No, non vi tedierò con il Borgo Nuovo di Santa Maria che qui era sorto all’inizio del ‘300 e che gli effetti devastanti del passaggio della Peste Nera spazzarono via come quando si soffia via la polvere da un oggetto prezioso e, pur standovi attenti, cade a terra e si rompe. E nemmeno vi racconterò del vampiro che, si narra, certe notti aleggi sui campi di questa valle.
Vi parlerò di un posto speciale, che forse a Siena non t’aspetteresti. Basta aprire una porta e subito ti pare di entrare in un luogo magico. Lo abitano creature appartenenti a quei regni che non conoscono principi e principesse, ma solo quelle che partecipano equamente alla bellezza di ciò che le circonda con quello che posseggono e sanno fare. Ci sono pavoni dalle code piene di colori e gatti che fanno compagnia ai conigli. Ci sono piante e fiori colorati ed erbe di mille profumi. Ci sono uomini che usano pentole incantate per preparare cibi che sono pozioni d’amore per il gusto e donne che ti accolgono al banchetto servito nei tavoli all’aperto, dove se vuoi i piedi possono sentire la morbidezza dell’erba.
Ed è magico perché è un luogo speciale che cerca di ridare la vita a chi, a vario titolo e per vari motivi si sente di averla persa, quella vita. Ma che cosa è e cosa ha sempre voluto (anche) essere l’Orto de’ Pecci lo dimostra il racconto di Roberto Caracciolo uno dei primi a “vivere” la cooperativa sociale La Proposta in quel passaggio da “degente” di un ospedale psichiatrico diventò uno dei fondatori della cooperativa stessa.
Un luogo di vita, di lavoro ma anche di storia e cultura.
Cultura. Può sembrare insolito inserire il concetto di “cultura” (in questo caso non nel senso antropologico: proprio in quello usuale e classico di conoscenza) fra le attività di una cooperativa sociale. No, non lo è; e che non lo fosse fu chiaro quando, fra gli stessi promotori dell’esperienza cooperativa ed un gruppo di persone che intorno ad essi si era formato, nacque il Circolo La Pergola. Con lo scopo di dare risposte al bisogno di tempo libero degli stessi pazienti che lavoravano in cooperativa.
E lo fece con attività varie dove la cultura c’era: il cineforum, il teatro, la scrittura, la poesia. Fin dall’inizio queste attività avevano la caratteristica di essere rivolte non solo ai pazienti ma anche a coloro che liberamente volessero partecipare. E diverse persone lo fecero, interessate a quelle attività ma anche a conoscere altre persone. Quando poi, nella seconda metà degli anni Novanta, fra le attività de “La Proposta”, il ristorante cominciò a muovere i primi passi, fu quasi naturale riferirsi a quella prima radice “culturale” e quasi automatico pensare che fra i modi di farlo conoscere fosse necessario unire alla cucina, alla convivialità anche l’iniziativa culturale. Questa volta rivolti più alle persone esterne ma certo non chiusa anche ai nostri pazienti. Dibattiti, conferenze, presentazioni di libri: tutto fu occasione per dar vita a eventi culturali preceduti, seguito o inframezzati da un aspetto conviviale.
La cosa piacque e non ci volle molto perché le occasioni di incontro culturale “sforassero” da quelli che erano i campi di interesse più immediatamente coerenti con gli scopi della Cooperativa, ad aspetti più ampi. Eravamo in uno luogo storico significativo per la città: e allora perché non affrontare temi di storia di Siena? Organizzavamo appuntamenti gastronomici per certe particolari ricorrenze del calendario: e allora perché non approfittarne per parlare delle occasioni (religiose, civili, antropologiche) che stavano dietro a quelle stese festività. Si cominciò a convocare la storia del Carnevale, quella di Halloween, di Sant’Antonio abate e così via. Storici, antropologi, scrittori cominciarono a costruire calendari di eventi culturali ampi, diversificati, ma mai casuali.
Si sfruttarono competenze e curiosità per costruirvi sopra eventi che fecero de “la Proposta” e del suo ristorante il fulcro di riflessione culturale. Un esempio fra tanti? Il ciclo di eventi in cui si mescolavano riflessioni su alcuni personaggi (Garibaldi, Rossini…) dei quali si ricostruivano poi, nelle cucine del ristorante, i piatti preferiti. Un ciclo che ebbe come protagonisti-animatori Alessandro Falassi, Giuliano Catoni e il grande cuoco (purtroppo scomparso) Pierluigi Stiaccini.
Poi, siccome l’appetito (in senso letterale) vien mangiando, il ristorante della Cooperativa scoprì il gusto dell’evento musicale. Anche in questo caso ci fu chi, con competenza, diresse gli eventi (leggi Massimo Biliorsi), alla riscoperta di autori, di epoche, di trend. Ma ci fu anche il piacere di ospitare gruppi musicali di amici in serate “monografiche”, all’insegna della grande musica di tradizione popolare o di quella rock (impagabili le serate con gli amici del gruppo “I Punkforte”), con il gusto, magari, di risentire di nuovo cantare e suonare persone che, in altri momenti avevano segnato un punto alto della musica a Siena e non solo a Siena.
Un’accademia culturale: questo era (anche) diventata “la Proposta”, fiera di contribuire con i suoi eventi a scandire momenti di conoscenza, di riflessione o di divertimento mai fine a sé stesso ma sempre legato ad un “perché” più ampio.
Anche lo spazio dell’Orto de’ Pecci ha finito per restare contagiato da questa “vague”. Tutto cominciò quando la rassegna “Arte all’Arte” chiese di ospitare nel prato della Cooperativa una istallazione dello scultore brasiliano Cildo Meireles: una lunghissima scala di ferro che doveva essere decorata con colori che andavano da quelli della terra, su su, a quelli del cielo. Rimase allo stato “naturale” e non mancò di suscitare sarcasmi e sfottiture (“o che ci hanno messo? Una scala controventata?”). In realtà l’installazione di Meireles, anche se rimasta acroma, non era casuale: doveva creare un’interlocuzione con la Torre del Mangia dalla posizione perfettamente collimata con essa in cui era stata posta.
Doveva restare lì alcuni mesi: ci rimase per anni, prima di essere smontata e ritirata, fra la costernazione di chi vedeva sparire un’opera d’arte e la soddisfazione di chi non era mai riuscito a capirla. Per fortuna, tutti, senza distinzione, hanno accettato l’altra istallazione, attualmente presente nel prato, Open Mind, si intitola ed è opera dello scultore americano Justin Peyser, che tutti ci auguriamo che non sia mai revocata e che rimanga per sempre qui a scandire, con la sua dolente e inquietante, bellissima, forma un ambiente naturale bellissimo, scenario di inquiete e dolenti vite che vogliono rivivere. In fin dei conti, una metafora e una sineddoche.
Sì, siamo diventati, nel nostro piccolo, oltre che un posto dove si fa cena, anche un “cenacolo” di gente che si sforza di regalare cultura e occasioni di riflessione alla nostra città. Sarà per via di quella Torre del Mangia che ci guarda dalla mattina alla sera, senza perderci mai di vista, e il cui sguardo avvertiamo come maternamente protettivo, ma anche severamente valutatore.
Il paesaggio in cui abbiamo lavorato e lavoriamo ha finito per curvare anche noi e per costringerci a interloquire, con consapevolezza, con lui. Sono passati quasi quarant’anni in un soffio. Molto è stato fatto. Molto abbiamo provato a fare. Molto avremo da fare. Ma alcuni versi scritti ancora da Roberto Caracciolo al tempo sono rimasti. “All’orto de’ Pecci siam rotolati” – primo verso di una lunga composizione sugli albori del La Proposta è forse quello più famoso e che per un certo periodo ci ha tormentato un po’, quasi fossimo diventati l’ultima tappa di un declino mentale e sociale da cui sarebbe stato molto difficile rialzarsi. Poi, più tardi, quando le cose cominciarono ad andare meglio ci potemmo permettere di sorridere di quelle parole, come si fa di un pericolo scampato e diventarono una sorta di talismano che si tiene sempre in tasca pronto a sbarrare la strada ai cattivi pensieri.
“All’orto de’ Pecci siam rotolati,
siamo disagiati e handicappati,
fra corvi conigli e merli
siamo comandati da Friscelli
con Tursi, Caracciolo
e Bielli lavoriamo noi persone
e questa è la canzone di Robertone”