Un attacco nella notte, ad Asciano, località La Pievina, a qualche chilometro di distanza dall’azienda dove è avvenuto l’ultimo grave attacco di predatori. A farne le spese, stavolta, l’azienda agricola di Pietro Basilio Carta, un allevamento di quasi 500 ovini di razza Sarda. Nell’azienda c’è una produzione annua di latte di 100mila litri, che viene venduto a un caseificio locale. Una realtà importante come altre nella zona, e che stanotte ha subìto un attacco da parte di lupi. Il gregge colpito contava 260 capi tra alleve e pecore che a breve avrebbero partorito. Una, addirittura, per la paura prima di morire ha in effetti dato alla luce un agnellino, sbranato anche lui. Una ventina in tutto gli animali morti. Un attacco subìto da più lupi, in una maniera tale che si è pensato a madri che insegnano ai cuccioli a cacciare.
“Ci risiamo e ormai purtroppo non fa quasi più notizia, sembra diventata la normalità, se non fosse per il fatto che le aziende, gli allevamenti e le persone vengono messi in ginocchio economicamente – tuona il direttore Coldiretti Siena, Simone Solfanelli –. Siamo pervasi da un sentimento di frustrazione, di impotenza quasi. La politica fa promesse ma non la smette di difendere i carnefici ma non sarà mai troppo tardi quando inizierà a occuparsi delle vittime. Siamo di fronte, oggi, ad un’altra azienda che ha subìto danni ingenti per i capi persi, pecore da latte. Oltretutto in una zona molto trafficata e abitata. Questi predatori non hanno più paura di nulla”.
A distanza di un anno dall’ultima strage di pecore, nell’azienda la Pievina, poco distante da quella di Pietro Carta, Coldiretti Siena rilancia la proposta: un “cimitero aziendale” per aiutare tutte quelle aziende colpite da attacchi di predatori e che hanno perso i loro capi di bestiame. “Si tratta di creare un’area, all’interno dei terreni dell’impresa dove – prosegue Solfanelli – , sotto il controllo delle autorità sanitarie rispettando ovviamente tutte le normative vigenti che tutelano il loro corretto smaltimento, seppellire gli animali uccisi.
Si vuole evitare cioè che oltre il danno ci sia anche la beffa, perché lo smaltimento costa quasi 100 euro a carcassa e l’allevatore che subisce il danno della perdita degli animali e della produzione deve sopportare anche quest’ulteriore aggravio”.