Sette punti sono illegittimi, altri cinque devono essere letti in modo “costituzionalmente orientato”: la Consulta non ha bocciato in totò la legge sull’autonomia differenziata ma alcune disposizioni sono state fatte a pezzi.
Per la legge Calderoli, che consente alle regioni di gestire competenze fino ad oggi nelle mani nello Stato, ci sono delle conseguenze. Ma anche le opposizioni dovranno rivedere alcuni dei dettagli su cui veniva costruito il referendum contro la riforma.
“La sentenza ha in parte annullato l’impianto fondamentale della legge, sia dal punto di vista sostanziale che procedurale, e in parte fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata. Quando anche solo una norma viene annullata, i quesiti referendari che riguardano l’intera legge devono essere ripresentati – spiega Eva Lehner, docente dell’Università di Siena-. Questo vale anche per i quesiti manipolativi, poiché con l’annullamento di alcune norme chiave da parte della Corte, vengono meno pezzi importanti dell’intero quadro normativo. Sono state annullate sia norme sostanziali, come quelle sulle risorse da assegnare alle regioni a statuto differenziato, sia quelle procedurali, come il metodo per quantificare tali risorse. E poi sono state invalidate le disposizioni che riguardavano il concorso delle regioni differenziate alla finanza pubblica, in relazione ai principi di solidarietà e unità nazionale”.
Tra i profili della legge ritenuti incostituzionali c’è la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Livelli essenziali di prestazione. E parte anche da qui l’invito dei giudici al Parlamento a “colmare i vuoti” segnalati.
“In particolare veniva prevista solo una facoltà per le regioni differenziate di contribuire agli obiettivi di finanza pubblica, ma la Corte ha ritenuto ciò insufficiente – aggiunge la professoressa.. Questo era uno dei punti principali delle critiche mosse da molte regioni. Inoltre, è stata annullata la possibilità di modificare con decreto interministeriale l’aliquota di compartecipazione al gettito dei tributi previsti dall’intesa per finanziare le funzioni trasferite, soprattutto nei casi in cui il gettito diminuisse. Secondo la Corte, tale previsione rischiava di premiare inefficienze”.
Festeggia Eugenio Giani, che con altri governatori di Regione aveva presentato il ricorso. “C’è soddisfazione – ha detto – nel vedere accolto il disagio per una concezione di autonomia che non è assolutamente quella che ha ispirato la riforma del titolo quinto nel 2001”
Altro tema è quello dell’esclusione del Parlamento dalle intese Esecutivo – Regioni. Anche qui, la Corte ha fornito una nuova interpretazione, sottolineando che l’iniziativa non può essere esclusivamente del Governo.
“In sostanza, sia sul piano procedurale che sostanziale, l’impianto complessivo della legge Calderoli risulta profondamente modificato. Per questo, anche se occorrerà attendere le motivazioni complete della sentenza, sembra probabile che i quesiti referendari debbano essere ripresentati”, ha aggiunto.
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