Bartolomeo Smaldone, Padre, Bertoni

Le persone si ritrovano nel sogno, le persone si ritrovano nel sognare. Nel sogno, perché non c’è mai separazione che non possa essere cancellata da immagini e pensieri inattesi che vengono a visitarci mentre si dorme, restituendoci l’illusoria presenza di chi un tempo fu con noi, fu presso di noi. Nel sognare, perché accade – può accadere – che due persone si trovino nello stesso istante e indipendentemente l’una dall’altra a camminare lungo i sentieri onirici, dove la realtà della veglia si offre per barlumi, travestimenti, risemantizzazioni.

In entrambi i casi, vale a dire e nell’essere insieme in quanto creatura sognante (una) e creatura sognata (l’altra) e nell’essere insieme in quanto entrambe creature autonomamente sognanti, chi sogna si lascia alle spalle la dura evidenza d’acciaio del tempo presente, ripiegandosi sul passato, sporgendosi sul futuro. “Padre”, lo splendido poemetto di Bartolomeo Smaldone, nasce nel punto d’incontro tra il sogno di un padre e il sogno di un figlio. I pochi metri che separano il primo, disteso agonizzante nel letto, dal secondo, che lo veglia durante la Vigilia di Natale, all’improvviso si trasformano in anni, decenni, secoli. Non solamente, infatti, il figlio sogna gli eventi precedenti e successivi alla nascita del padre, mentre quest’ultimo rinviene e rivede frammenti sepolti della propria adolescenza, che hanno contribuito in maniera decisiva a formare la sua identità; ma il viaggio memoriale possiede anche le sembianze di un ritorno alle origini di una società premoderna, quella della Lucania agricola e pastorale, dove, verso la metà del secolo scorso, gli uomini e le donne continuavano a fare quello che i loro antenati avevano sempre fatto, perché sentivano che nella tradizione e nella fedeltà a un passato percepito come eterno e immutabile  riposava il significato profondo e autentico dell’esistenza (non è certo un caso, da questo punto di vista, che “Padre” si chiuda col verso “nella memoria del tempo immutabile”).

L’esistenza, dunque, come ripetizione dell’uguale. Le numerose voci dialettali, il cui significato è opportunamente chiarito dal glossario posto in appendice, suggeriscono con grandissima efficacia al lettore lo sfondamento della dimensione presente operato dalle singole poesie, che vedono l’alternarsi di versi liberi e di endecasillabi perfetti, in direzione di un passato remoto e ripetitivo, intriso di usi, lavori, consuetudini, credenze, riti e rituali, che senza soluzione di continuità trapassano nell’oggi. Il poema, articolato in tre parti (“Il sogno del figlio”, “Il sogno del padre”, “L’addio”) e preceduto dalla lirica liminare “La profezia”, di cui viene sotto riportata la parte iniziale, è arricchito dell’illuminante prefazione di Andrea Laiolo.           

“La donna che sbaccella sulla porta,

per ogni fava sbotta e sacramenta:

“Sorte maligna! t’attorci alle budella;

non si satolla mai la bacinella!”

Nera la veste, bianca la criniera,

pende la coda dietro la spalliera

della sparuta seggiola di vinco

com’ingrugnita sotto il corpo pingue.

“Angela, Angelina, comare chiatta;

com’eri secca e fine da ragazza!

Adesso che hai stracolma la bisaccia,

manco la crocchia fai con la forcina”,

dice Marietta dietro la cortina.

Tra sé lo dice e agucchia, getta l’occhio

Oltre l’uscétto, lungo il vico angusto,

come aspettasse il mulo con il basto

carco di cicerchie e di verzura.

Aspetta e basta; e nello stabbio vuoto

Langue la greppia, langue il vincastro

Dell’uomo seppellito col tabarro,

dell’uomo che risplende al lumicino”

 

Bartolomeo Smaldone, Padre, Bertoni, Perugia 2025

a cura di Francesco Ricci