Siena

“La Bufera e altro”, all’Accademia degli Intronati il capolavoro di Eugenio Montale

Fu sempre consapevole della sua scrittura Eugenio Montale e non esitò a definire il suo «terzo libro», “La bufera e altro”, uscito in una prima edizione da Neri Pozza nel 1956,  il suo «libro migliore, sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario». Nelle sette sezioni in cui la raccolta si partisce frequenti sono i rimandi ai due libri precedenti, gli “Ossi di seppia”(1925) e “Le occasioni” (1939). È stato riconosciuto come il suo libro più complesso e anche quello in cui lo svolgimento è più mosso e obbedisce ad una calcolatissima scansione narrativa. Infatti il poeta aveva pensato di intitolarlo “Romanzo”. Per la prima volta ci appare il nome di Clizia, attribuito a Irma Brandeis, la giovane americana degli anni fiorentini. Antagonista è Volpe, una sorta di anti-Beatrice che cela l’identità di Maria Luisa Spaziani: dualismo di ascendenza dantesca. Il protagonista attraversa come in un infernale viaggio le tragedie del Novecento, la bufera sanguinosa della guerra anzitutto: in attesa di una salvezza che non verrà. Ora l’edizione mondadoriana , commentata da Ida Campeggiani e Niccolò Scaffai, introdotta da Guido Mazzoni, completata con l’inclusione di saggi-chiave di Gianfranco Contini e Franco Fortini, consentirà di rileggere e per molti di leggere e capire il libro giovandosi di un’eccezionale mole di annotazioni e di chiarimenti. Su iniziativa dell’Accademia degli Intronati a presentare questo imponente lavoro sarà – mercoledì 19 febbraio (Palazzo Patrizi, via di Città 75, ore 17,30) – Pierluigi Pellini, ordinario di Letteratura italiana contemporanea nell’Ateneo di Siena. Eugenio Montale è sottratto dalla critica all’Ermetismo e al Simbolismo ed è considerato il campione per eccellenza di un Classicismo moderno, che attualizza la tradizione umanistica portandola ai sommi livelli della cultura alto-borghese europea. Al decadimento cupo e apocalittico egli oppone la ricerca di una «decenza quotidiana». Nel celebre “Piccolo testamento” afferma la sua distanza dalle ideologie che hanno funestato il “secolo breve”. Rivolge ai giovani l’invito a «credere nella possibilità di esprimersi in forme che non siano di contrabbando». Poetica e etica indissolubilmente si fondono in una lezione che resta centrale e aperta verso imprevedibili  orizzonti.

 

 Roberto Barzanti         

marco crimi

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