La salute dei pinguini è messa a rischio dai cambiamenti dell’ecosistema e dall’inquinamento ambientale. E’ quello che emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Siena e del Museo Nazionale dell’Antartide in collaborazione con l’Università di Plymouth (UK), appena pubblicato sulla rivista “Polar Biology”. La ricerca, svolta nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, dal titolo “Conservazione di un mesopredatore polare sensibile ai cambiamenti dell’ecosistema”, è frutto del lavoro coordinato dalla ricercatrice Silvia Olmastroni, del dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente, al quale ha collaborato anche la ricercatrice Ilaria Corsi dell’Ateneo di Siena, ed il professor Awadesh Jha dell’Università di Plymouth (Regno Unito). I ricercatori senesi, da molti anni impegnati in Antartide nello studio delle colonie di pinguino di Adelia nell’area del Mare di Ross, hanno effettuato i prelievi ematici nella campagna antartica 2014-2015 su un campione di 19 pinguini dalla colonia di Edmonson Point, nel mare di Ross. I materiali raccolti sono stati analizzati permettendo lo studio della stabilità immunitaria e genetica. I risultati hanno mostrato una instabilità genomica e alterazioni al sistema immunitario che potrebbero condurre a lungo termine a sviluppare anche forme cancerogene. “I cambiamenti climatici, l’inquinamento, la perdita di habitat e l’aumento della presenza umana possono influenzare in modo significativo lo stato di salute dell’organismo e la sopravvivenza a lungo termine – spiega Olmastroni -. Per questo motivo è fondamentale avere questa comprensione del sistema immunitario e genetico di una specie in modo che eventuali cambiamenti possano essere identificati al più presto”. Per evitare di rendere ancor più vulnerabile l’ecosistema e ridurre ulteriormente l’impatto di qualsiasi tipo d’inquinamento sulle colonie di pinguini oggetto di studio, nell’ultima campagna antartica (novembre 2018-febbraio 2019, progetto PenguinERA) i ricercatori senesi hanno potuto utilizzare un drone di ENEA per fotografare gli animali, riducendo notevolmente i costi e l’inquinamento acustico per quell’ecosistema. “Un mezzo – continua Olmastroni – per migliorare la stima della popolazione riproduttiva con l’ausilio di foto aeree a basso impatto”. Grazie alla disponibilità dei campioni ematici raccolti durante le ultime due campagne antartiche (2017-19) in tre differenti popolazioni, la ricerca proseguirà con gli studiosi senesi impegnati in prima linea per ottenere ulteriori risultati.
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