Poco più di un anno fa, febbraio 2018, Coldiretti festeggiava l’entrata in vigore dell’obbligo di etichetta per la pasta a seguito di un iter lunghissimo. La normativa obbliga i produttori di pasta a indicare sulla confezione il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello in cui il grano è stato macinato. Ma nonostante questa notizia positiva il mercato stenta a premiare il duro lavoro delle imprese, servono quindi nuovi strumenti, quali i contratti di filiera, che accrescono la competitività del grano italiano (e senese), garantiscono un prezzo equo sia per il produttore che per il consumatore ed evitano la svendita del prodotto. Ad oggi, il grano è quotato sul mercato intorno a 200,00 euro a tonnellata. “Impossibile far vivere le imprese agricole a queste condizioni. Una cifra che non ripaga nemmeno le spese di produzione e mette a rischio il futuro del “granaio Siena”. In pericolo ci sono la sopravvivenza di oltre tremila imprese della nostra provincia, la produzione di grano – oltre un milione di quintali nella nostra provincia – ma anche un territorio di alcune decine di migliaia di ettari a rischio desertificazione e gli alti livelli qualitativi per i consumatori garantiti dalla produzione Made in Italy.
Non vorremmo che l’attuale scellerata politica commerciale vanificasse – continua Coldiretti Siena – la lunga serie di sforzi e battaglie che ci ha portato a vincere il braccio di ferro contro l’utilizzo del glifosato e quindi a bloccare di fatto le importazioni dal Canada, che ci ha premiato fino ad ottenere l’etichettatura obbligatoria per pasta e pane ed, in ultimo, a far capire al Governo la dannosità dell’accordo CETA. Il mercato non sta premiando il duro lavoro dei cerealicoltori e questo diventa un rischio enorme per il territorio intero. La nuova frontiera che dobbiamo perseguire è quella dei contratti di filiera e su questo Coldiretti sta profondendo ogni sforzo” commenta Coldiretti Siena.
“Quest’anno abbiamo avuto un’ottima produzione e di alta qualità ma i prezzi sono variati di poco rispetto allo scorso anno, arrivando a circa 20 euro al quintale per il grano – spiega Luigi Sardone, imprenditore agricolo senese – qui la questione dei prezzi sta divenendo strutturale e non solo occasionale, questo ci penalizza sino a costringerci a ridurre le produzioni con il rischio di arrivare a cessare le coltivazioni in alcune zone.”
“La tutela del grano Made in Italy deve divenire una priorità – prosegue Luigi Sardone – la differenza tra il nostro grano e quello canadese, che viene molto utilizzato in Italia, sta nel fatto che loro raggiungono il livello proteico raccomandato, intorno al 15%, grazie all’utilizzo della chimica e del glifosato. Mentre quello del nostro grano è un percorso naturale e stagionale, dove la maturazione avviene grazie al susseguirsi delle stagioni. Per il grano canadese anche la maturazione viene ottenuta grazie al contributo di prodotti chimici come il glifosato, sostanza di cui si sono appurate le nocività per l’uomo.”
Il grano e i cereali sono un elemento centrale, sia alimentare che culturale, per l’Italia, è quindi importante riuscire a costruire una filiera in grado di valorizzare il prodotto Made in Italy. Questo significa dare vita a un sistema di provenienza facilmente riconoscibile, dal luogo di produzione, alla macinazione e al pastificio nel caso di produzione della pasta.
“Il rischio più grande – conclude Luigi Sardone – è quello di continuare a competere in un mercato dove non viene valorizzato il nostro grano, dove costa meno prendere il grano da fuori e dove vengono proposti accordi internazionali che penalizzano le nostre produzioni. Una grande vittoria è stata quella ottenuta contro l’accordo CETA ad esempio, grazie soprattutto a Coldiretti. Per quest’anno la nostra speranza è che dopo la chiusura estiva, visto e considerato che abbiamo un grano di alta qualità, ci sia un aumento dei prezzi al quintale nel mercato.”
Guardiamo i numeri: sul territorio senese ci si attesta sulla produzione di 1.400.966 quintali di cereali – considerati nella loro totalità – rispetto ai 1.299.405 dell’anno precedente. In termini assoluti Siena rimane il secondo produttore su scala regionale, preceduta in Toscana solamente da Grosseto con 1.541.950 tonnellate e seguita con distacco da Pisa. Tra le coltivazioni di cereali del nostro territorio quella che spicca per quantità prodotta è il frumento duro, con 790.000 tonnellate, seguito da frumento tenero con 160.250 tonnellate – questo è l’unico cereale che presenta un trend in decrescita per il terzo anno consecutivo – e l’orzo con 150.000 tonnellate. In crescita costante è invece l’avena, che è passata dalle 88.244 tonnellate del 2014 alle 10.500 tonnellate attuali.
La cerealicoltura, dunque, è uno dei pilastri dell’agricoltura senese oltre che regionale e anche dell’industria agro-alimentare. La superficie coltivata (circa 160.000 ettari, gran parte dei quali nelle province di Siena e Grosseto, seguite da Pisa e Arezzo) rappresenta il 5,5% del totale nazionale, e sono ben 17mila le aziende interessate di cui circa 600 interamente biologiche.
Tra i cereali prodotti in Toscana al primo posto c’è il frumento duro (cui sono dedicate oltre 90mila ettari, oltre metà delle superfici), seguito da frumento tenero (oltre 20mila ettari), orzo (18mila), mais (16mila), avena (10mila).
Qualche mese fa, in un convegno organizzato a Siena da Coldiretti Toscana, il direttore regionale Antonio De Concilio aveva dichiarato: “Non possono essere più tollerate speculazioni come quelle che hanno determinato il crollo dei prezzi del grano italiano al di sotto dei costi di produzione. In pericolo non ci sono solo la produzione di grano duro e la vita delle aziende agricole che lo coltivano, fatto già gravissimo, ma anche un territorio a rischio desertificazione che vedrebbe stravolto lo stesso paesaggio toscano e con una perdita di un valore aggiunto per l’intera regione di oltre 200 milioni di euro”.
Dalla spiga di grano al pane, o alla pasta, accanto alle colture, nella costituzione della filiera cerealicola toscana, entrano poi in gioco molti altri soggetti che si collocano sia a monte delle aziende agricole stesse che a valle: gli impianti di raccolta e stoccaggio, i molini, i pastifici, i panifici e infine i mangimifici.
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