Pierluigi Piccini, capogruppo di ‘Per Siena’ ha affrontato il tema della cessione di Banca Monte Paschi con un comunicato ufficiale.
“Dopo gli articoli apparsi oggi, per quanto mi riguarda -si legge nella nota- credo che debba esplicitare meglio il mio pensiero. Tutta questa vicenda, da quando è nata, ha avuto un solo presupposto: l’aspetto economico, tralasciando le questioni delle ricadute sociali. Bisogna ricordare che gli esuberi, in questo caso, non sono solo i seimila del Monte, ma a questi vanno sommati gli altri altrettanti di Unicredit; dodicimila come stima di massima. Fare inoltre un’altra considerazione che la Banca è la più grande azienda della Toscana, molto più grande della Gnk per la quale ci battiamo tutti. E i posti di lavoro sono sempre gli stessi sia quando il proprietario è una multinazionale, sia quando il proprietario è lo Stato italiano. Stato che dovrebbe versare più di sei miliardi a UniCredit per fare l’operazione di “fusione”. Qualcosa non torna. Aver fatto scoppiare il caso durante una campagna elettorale che impegna proprio Siena ha sia lati negativi che positivi, perché misura la capacità di reazione complessiva dei vari soggetti implicati siano essi istituzionali, politici che sociali.
A mio avviso tutta la vicenda è stata mal gestita, e mi spiego. Ufficialmente, a quanto mi risulta come consigliere comunale, di incontri formali a Roma con il Ministero da parte degli enti locali coinvolti ce n’è stato solo uno. Di ufficiosi non sappiamo nulla e francamente a questo punto non ha rilevanza. Dopo quell’incontro ognuno dei soggetti locali è andato per conto proprio. Giani ha ipotizzato una banca regionale sempre con il marchio Monte dei Paschi: una proposta tecnicamente irrealizzabile. De Mossi, con l’azione legale per recuperare tre miliardi e ottocento milioni per poi reinvestirli per riprendersi la banca, come qualche schiocco dell’entourage del sindaco andava dicendo subito dopo il Consiglio Comunale. Anche questa ipotesi impossibile da realizzare (i centocinquanta milioni di euro ottenuti dalla Fondazione stanno lì a dimostrarlo) per l’entità delle rivendicazioni, per i tempi che per i vincoli legislativi. E mentre ci eravamo lasciati su questa ipotesi da noi non condivisa, la Fondazione trattava. Nella trattativa ha ottenuto la cifra ricordata, ma senza contropartita sociale. Ed è chiaro che a differenza di quanto si sperava a oggi, dopo le notizie sull’inizio del confronto fra Ministero e UniCredit, nulla risulta. Ebbene, se così fosse, allora la Fondazione ha sbagliato nei tempi, aprendo alla risoluzione del problema senza ottenere contropartite per il territorio.
Noi abbiamo sostenuto ripetutamente in Consiglio comunale che quel tavolo del Ministero andava conquistato e tenuto fino alla fine della trattativa con due argomenti: uno tecnico e l’altro sociale, con delle proposte che fossero vincenti e avessero una dimensione Paese. E per farlo i soggetti locali avrebbero dovuto farsi assistere da persone esperte, da dei professionisti altamente qualificati. Non averlo fatto ha determinato una non gestione della vicenda.
Hic Rodhus, hic salta: bisogna unire le forze -conclude- fare squadra condizionare le scelte, paradossalmente la situazione elettorale lo può consentire, se ne faccia carico il Governatore e, o il Sindaco, ma si muovano istituzionalmente senza divisioni di parte. Però, rimane sempre un però: la proposta.