Sarà che in Italia (e Siena è Italia, se ricordiamo bene) non c’è niente di più destinato a diventare ordinario di ciò che nasce come straordinario. In questa città è successo anche per il Palio: il più ordinario che esista, il primo, delle contrade, precedente di oltre mezzo secolo rispetto a quello d’agosto.
Succede, infatti, che, mentre è ancora in fase di completamento la chiesa di Santa Maria in Provenzano, si cominciano a fare solenni festeggiamenti in onore dell’immagine della Madonna che s’era presa addosso la sacrilega palla d’archibugio di un soldato sacripante. Così, già dal 1595 è attestata un’imponente processione organizzata dalla Giraffa, imitata subito da quasi tutte le altre con altrettanto imponenti cerimonie. Qualcuno, nel 1605, butta là l’idea: perché non fare un Palio in Piazza del Campo con le contrade per festeggiare degnamente la Madonna?
L’idea non è solo una vaga proposta. Fortunio Martini e Gismondo Santi (che sono i deputati dalla Balia a organizzare le feste per l’Assunta) fanno calcolare il percorso del Palio alla lunga e lo traducono in giri di Piazza. Le motivazioni sono ineccepibili sul piano estetico e su quello economico: la corsa alla lunga ha il difetto di non potersi seguire nell’interezza del suo svolgimento, perché o si vede la mossa, o si guarda il passaggio o si aspetta l’arrivo (a meno di non correre più veloci dei cavalli, ma Superman non l’avevano ancora inventato). Inoltre, perché regalare a gente di fuori il costoso drappo in premio? Facciamo fare il Palio alle contrade di Siena e questo prezioso oggetto finirà in una chiesa cittadina.
La proposta arriva sul tavolo del segretario generale del granduca Ferdinando I, ma a Firenze ci capiscono abbastanza poco: solo che i senesi vogliono inventarsi un giochino in più. Il granduca sbuffa: facciano un po’ quel che gli pare, che lui ha da pensare a cose più importanti.
Il segretario riferisce alla Balia: va bene, ma ci si assicuri che questo nuovo spettacolo avvenga nella massima sicurezza perché “ la festa non doventi tragedia, né s’ammazzi gente”.
Contrariamente a quel che si potrebbe pensare, però, la cosa si ferma lì: l’idea era piaciuta ma, al momento, non se ne fa niente.
Qualcuno la rispolvera in seguito, anche se, nel frattempo, sono passati poco meno di trent’anni. Siamo nel 1633 e le corse del Palio alla lunga, negli anni precedenti, erano state sospese. Perché? Ve lo ricordate “I Promessi Sposi”? quel po’ po’ di casino che fu la peste? Anche in Toscana aveva fatto disastri, ma a Siena era passata con danni molto contenuti, grazie anche al potente cordone sanitario che i consiglieri del governatore avevano messo in atto (o forse fu pura botta di fortuna, vai a saperlo!). Come che sia, fra le misure di profilassi c’era stata anche quella di sospendere i Palii per evitare l’afflusso in città di tutta quella gente che, come di consueto, veniva da ogni parte d’Italia a iscrivere e far correre i propri cavalli.
Stufi di questo digiuno, i senesi s’erano ricordati della vecchia idea di Martini e Santi. Non facciamo entrare in città nessuno dall’esterno, ma peste o non peste, senza Palio non si può stare. E allora disputiamolo con soggetti locali: le contrade. E non alla lunga, ma in Piazza, che è più bellino.
Era un’idea che salvava ogni esigenza. E questa volta andò in porto. Il 15 agosto non si corse con i cavalli di razza dei doviziosi allevatori e si fecero, invece, gareggiare cavalli locali abbinati alle contrade senesi in Piazza.
Fu il primo Palio alla tonda e lo vinse la Tartuca.
Ci sarebbe voluto un altro po’, prima che questa innovazione diventasse stabile, però il seme era stato gettato.
Il primo Palio ordinario nasceva come corsa straordinaria.
Poi la storia andò avanti. Come? Ma che volete? la pappa scodellata? Dai, aprite “Il Palio di Siena. Una festa italiana” (edizioni Laterza) alle pagine 40-43 e vi leverete la curiosità.
Duccio Balestracci
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