Coronavirus, la crisi dei ristoranti cinesi: “Calano i clienti ma il nostro cibo è italiano”

“Ormai con internet l’informazione gira veloce e lo scandalo fa più click della notizia vera. Sui social molti hanno visto un video di una ragazza dai tratti orientali che mangiava un pipistrello, c’è una teoria che sostiene che il Coronavirus si propaghi da questo animale, molti hanno pensato subito che i cinesi diffondono la malattia mangiando pipistrelli. Il problema è che quel filmato è stato girato a Palau, in Micronesia,  dietro non c’è stata un’informazione seria e mi dispiace”.

Sono parole di sconforto quelle di un Hao Hai Xu, un giovane ragazzo senese di origini cinesi. In questi giorni alla paura per le condizioni di salute dei sue cari si aggiunge anche quella legata ai sempre più frequenti casi di discriminazione che corrono su Facebook ma anche nella vita reale – basti pensare all’ormai famoso video girato a Firenze dove un italiano ingiuriava un coppia di asiatici- ma anche alle bufale che si sono generate sulla tradizione culinaria del paese del Dragone.

“Molti dicono che le malattie nascono sempre in Cina, che la Sars è nata lì e che quindi noi portiamo le infezioni- racconta-. La Mers però è nata in Medio Oriente ed è stata trasmessa da un dromedario, ma gli arabi non mangiano dromedari; l’influenza suina è nata dagli allevamenti di maiale in Messico, il maiale lo mangiano tutti; la mucca pazza è nata in Regno Unito. Lo stereotipo dei cinesi sporchi che mangiano cibo sporco ci perseguita da tanto tempo”. La psicosi che il Coronavirus si è portato con sé i ristoratori cinesi la avvertono anche in provincia di Siena, c’è maggiore diffidenza della clientela e meno persone vengono la sera a cenare nei locali.

“Io sono in Italia da 30 anni, per me è la seconda casa – spiega Jie Wang della Rosticceria La Rosa -. La situazione in Cina è sotto controllo anche se bisogna essere molto attenti. E’innegabile che questa epidemia ha avuto un risvolto negativo per nostri negozi e i ristoranti, capisco che le persone hanno paura delle malattie ma qui il rischio è zero. Chi ha sospetti e chi non vuole entrare in contatto con i cinesi non viene al ristorante. I clienti più fedeli però continuano a mangiare qui e vanno oltre la psicosi. Spero comunque che la situazione migliori. I nostri prodotti sono tutti italiani, importare dalla Cina costerebbe di più e andrebbe contro la logica”.

Della stessa lunghezza d’onda è  Chen Wei Feng, titolare di Ravioli Wang, lui vive nel Belpaese da oltre 20 anni e a Siena da tre. La sua famiglia vive nella provincia dello Zhejiang, la seconda più colpita dopo Whuan,  e tanta è la sua preoccupazione. “Ho avuto molta solidarietà da parte dei clienti più fedeli ma la frequenza di persone è più bassa per questa cosa – ci dice-. La qualità del mio cibo è sicura, sono prodotti italiani, freschi, rintracciabili. La carne ci viene da un’importante ditta senese, dalla Fusi”.

C’è poi l’argomento della discriminazione, i due ristoratori hanno fatto sapere di avere apprezzato le manifestazioni di solidarietà del sindaco Luigi De Mossi – li aveva ospitati in comune per esprimere il sostegno del Comune- e del rettore dell’università per stranieri di Siena – che aveva espresso la sua vicinanza in un video-. “Le persone vedono i tratti somatici orientali e collegano subito all’infezione – afferma Jie Wang – . Molte sono state le occasioni di discriminazione ma sono comunque casi isolati fatti da persone che vivono d’odio e continueranno a farlo”. ” Gran parte di questo è dovuto anche alla mala informazione giornali- questo il parere di Chen-. A Siena ho trovato sempre persone socievoli e accoglienti ma forse ora manca un contatto diretto con la comunità asiatica per conoscere realmente le cose”.

Marco Crimi