Siena

“Corri, Simo, corri!”

“Corri, Simo, corri”

“Giamburrasca”, “Pierino la peste”. Erano soprannomi che gli si addicevano. Sia per il suo carattere sia perché ne combinava quanto poteva. Amava gli scherzi quanto amava la vita. Non sempre lineare, non sempre facile, come quella di ognuno di noi. Chi scrive lo conosceva dal 1994, quando andava a mangiare da lui, tra una lezione e l’altra dell’Università, negli anni in cui gestiva la Videopizzeria in Pantaneto.

Chi scrive lo conosceva perché condivideva uno dei suoi grandi amori: il Nicchio. Ma per lui i figli, due grandi, Marta e Matteo, il terzo, Carlo, di otto mesi, erano la sua vita, il suo amore vero, il suo pensiero. Se chiederete di lui a chi lo conosceva vi dirà senz’altro: era matto come un cavallo.

Vero anche questo.

Ma per i figli faceva tutto e aveva un cuore grande. Chi scrive è stata una delle ultime a salutarlo, a parlarci, in una sera calda d’autunno, quando pensò: “mira com’è (stranamente) serio Simone stasera”. “Serio” e “Simone” erano un nome ed un aggettivo che male si “accostavano”. Per lui la vita andava presa “di corsa” (ecco le altre grandi passioni: le moto il Gran Premio, Valentino Rossi).

Il Nicchio perde un figlio, uno che di no, quando il Nicchio chiamava, non lo ha mai detto. Matteo, Marta e Carlo un padre “pazzo” che avrebbe continuato a fare pazzie per loro. Carlo, specialmente, perché non crescerà con lui, ma con la mamma, Arianna, compagna di Simone, che glielo racconterà.

E noi insieme a lei.

Le “birbonate” di Simone, da stasera, lasceranno definitivamente Siena (perché i suoi amici, quelli veri, erano anche di altre Contrade) e avremo una Siena “più seria” ma più vuota.

E noi? Noi non dovremo più difenderci dai suoi scherzi. Chi scrive non dovrà più impazzire per cercare le cose che le nascondeva; non dovrà chiedersi, quando le raccontava qualcosa o quando le faceva qualche telefonata strana, se era vero o se, per l’ennesima volta, la stava prendendo in giro.

Chi scrive non avrà più nessuno con cui scambiare animate discussioni (fino a notte), né discorsi seri, né matte risate. Chi scrive come molti che leggono e che, di Simone, erano amici.

Chi scrive, come sempre succede, racconta la sua di esperienza, anche se da ieri a stasera, mentre gli “facevamo compagnia”, ridevamo (e a lui avrebbe fatto piacere) scambiandoci aneddoti e racconti. Ognuno i suoi, per poi guardarsi e dirsi “questo era lui”. “Ma lo sai che mi fece quella volta?”, “Ma lo sai che mi tenne sveglio fino alle 5 e alle 7 entravo a lavoro?”

Ma lo sai…

E con Arianna, che ha diviso con lui l’ultimo, importante, pezzo della sua vita, è da ieri che ci chiediamo che cosa si sarebbe inventato con questo Coronavirus. Forse ci avrebbe fatto credere di aver trovato il rimedio magico, oppure ci avrebbe fatto imbrattare tutti le mani con qualche miscuglio dandoci a bere che era un potentissimo disinfettante.

E qualcuno ci sarebbe cascato. Ci cascava sempre.

Oppure se la grandinata di stamani è stato il suo ultimo gavettone. Chissà se è stato anche il suo modo per dirci:

occhio io sono qui.

Questo non lo sapremo mai.

Eppure da la lassù, ci guardava, di questo sono certa, mentre nel suo Nicchio lo salutavamo, in un clima di prudenza, come la situazione sanitaria richiede, ma che, lasciatemelo dire, rendeva tutto ancora più surreale. La gente lontana, il silenzio, e poi per strada, distanti, nel momento in cui sentivamo il bisogno di stringerci gli uni agli altri.

Lo eravamo col cuore, anche se spesso è più efficace un abbraccio di quelli belli stretti.

Ma Piazza, Piazza del Campo, te l’abbiamo fatta salutare e mi piange ancora più il cuore perché, da quel maledetto giorno, non mi levo dal capo che te ne sei andato senza aver rivisto vincere il tuo Nicchio.


Non ho scritto le cose classiche, lo so, che avevi 49 anni, che un ictus (o quel che era, ora poco conta) improvviso ti ha colpito. Che ti abbiamo “stretto la mano” in questi mesi. Che ci abbiamo sperato in questi mesi. Ma ormai, a cosa serve?

“Ci sono volte in cui la mente riceve un tale colpo da nascondersi nella follia. Ci sono volte in cui la realtà non è altro che sofferenza e per sfuggire a quella sofferenza la mente deve lasciarsi alle spalle la realtà” (Patrick Rothfuss).

Corri, di nuovo e libero, corri.

A tutto “gasse”.

Maura Martellucci

Arianna Falchi

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