Massimo Messere, 34 anni, senese, è il protagonista di una storia davvero particolare: quella di un uomo che, arrivato alla soglia dei trent’anni, ha lasciato un posto da informatico a tempo indeterminato in una grande multinazionale per trasformarsi in fabbro. Ha detto basta alle giornate passate seduto di fronte ad un computer e ha sostituito la scrivania con un banco da lavoro, coronando così il sogno che coltivava fin da ragazzo. Coraggio, determinazione e un pizzico di incoscienza gli hanno permesso di realizzarsi non solo professionalmente, ma soprattutto dal punto di vista umano. A distanza di quattro anni dalla lettera di dimissioni, agli occhi dei suoi ex colleghi è ancora una vera e propria “leggenda”.
Massimo, partiamo dagli studi. Qual è stato il suo percorso formativo?
“Mi sono laureato in Ingegneria informatica all’Università degli Studi di Siena circa una decina di anni fa. Dopo il liceo scientifico ho scelto questa facoltà perché le materie scientifiche mi appassionano, e anche per il fatto che questo indirizzo mi avrebbe garantito un lavoro sicuro, come poi è successo. Mi sono laureato con una tesi sul calcolatore quantistico di Pozzuoli: è stato faticoso, ma anche una grande soddisfazione”.
E dopo la laurea?
“Finita l’università ho trovato subito lavoro come consulente informatico alla Avanade, una grande multinazionale del settore informatico fondata nel 2000 negli Stati Uniti. Si tratta di una joint venture, nata da un accordo fra Microsoft e Accenture, che propone soluzioni tecnologiche aziendali e servizi di consulenza. Uno dei clienti con cui avevo frequenti contatti era proprio il Monte dei Paschi di Siena”.
Cosa l’ha spinta a lasciare un lavoro e uno stipendio sicuri e a intraprendere, invece, un mestiere certo meno remunerativo e più faticoso come quello del fabbro?
“Ho lavorato per circa cinque anni come informatico. Cinque anni tutti i giorni in giacca e cravatta. Alla fine non ce l’ho fatta più: non avevo stimoli, mi annoiavo. Addirittura c’erano alcune settimane in cui prendevo le ferie per potermi dedicare completamente a qualche piccolo lavoretto che all’epoca già facevo. Quelle giornate riuscivano a rigenerarmi. Fin dai tempi del liceo mi è sempre piaciuto “sporcarmi le mani”: insieme a un amico passavamo pomeriggi interi a fare esperimenti in garage. Anche con i colleghi ci dicevamo sempre come sarebbe stato bello aprire un agriturismo o un ristorante per sfuggire alla monotonia dell’ufficio. Quando sono arrivato alla soglia dei trent’anni mi sono detto: adesso o mai più! Fu così che firmai e consegnai la lettera di dimissioni”.
Conserva ancora la lettera di dimissioni?
“Certo, è ancora qui nel mio computer dopo tutti questi anni. ‘Mollare qualcosa, che sia un lavoro o un’abitudine, significa svoltare e accertarsi di essere ancora in cammino verso i propri sogni’: con queste parole iniziava invece la mail con cui nella primavera del 2012 annunciai ai miei colleghi l’intenzione di cambiare vita”.
Quanto è stato difficile prendere questa decisione? Era consapevole dei rischi che avrebbe potuto comportare una scelta di questo tipo?
“Ero perfettamente a conoscenza del fatto che reinventarsi a trent’anni in un settore totalmente diverso e tradizionalmente fondato sull’apprendistato comporta dei rischi non indifferenti, soprattutto alla luce della situazione economica internazionale, ma era un rischio che ero risoluto a prendere: non avrei potuto vivere il resto della mia vita con il rimpianto di non averci nemmeno provato. Non che la decisione sia stata semplice: ho lasciato sul piatto un lavoro a dieci minuti di motorino da casa, una serie di colleghi e clienti con cui mi sono sempre trovato più che bene, un sicuro stipendio più che dignitoso. C’è un vecchio detto che recita più o meno così: ‘fai un lavoro che ti piace e non lavorerai un solo giorno della tua vita’. E allo stesso tempo lavorerai sempre aggiungerei io, perché quando uno ha nella propria professione anche una delle sue più grandi passioni, si ritroverà a lavorare anche nel cosiddetto tempo libero!”.
Quali furono le reazioni dei colleghi?
“Inizialmente rimasero tutti un po’ sorpresi, tant’è che il mio capo mi chiese quale offerta irrinunciabile avessi mai ricevuto. Alla fine, comunque, tutti capirono che la mia era stata una scelta di vita e non certo una questione di soldi”.
Ci racconti meglio della nuova vita da fabbro.
“All’inizio non è stato semplice, ho utilizzato per diverso tempo il garage di casa come magazzino. Presto decisi di aprire un blog online per dare maggiore visibilità ai miei lavori. Fin da subito in molti mi contattarono per farmi i complimenti, in particolare per un telaio di una motocicletta che stavo costruendo. Così, pian piano, le cose hanno iniziato ad andare sempre meglio, e sono arrivati i primi progetti su commissione da parte di alcuni architetti. Recentemente sono riuscito a trasferirmi in un fondo nella zona industriale di Pian dei Mori, alle porte di Siena, dove ho aperto la mia bottega. Mi capita spesso di lavorare fuori Siena e viaggio molto, cercando di assecondare le richieste dei miei clienti”.
Rimpianti?
“No. Tutt’oggi ci sono ancora diverse cose da sistemare, ma non tornerei indietro: sono contento e soddisfatto della mia scelta”.
Nell’epoca dell’informatica e del progresso tecnologico portato all’esasperazione, Massimo ha deciso di seguire la propria passione per un mestiere nobile e antico come quello del fabbro. Una strada non priva di difficoltà, una scelta che ha poco di razionale, ma che sta a significare come nella vita per essere felici non conti poi così tanto l’aspetto economico, quanto piuttosto la possibilità di svolgere un mestiere che si ama. Con passione, ogni giorno come se fosse il primo.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. (Martha Medeiros, Ode alla vita). Con questa citazione Massimo chiudeva la mail di saluto rivolta ai suoi ex colleghi. Come dargli torto?
Giulio Mecattini