Si chiama Francesco Rossi e nella vita fa il regista: il suo film, nonché opera prima, “La stanza più fredda”, aveva già riscosso grande successo in termini di apprezzamento sia della critica che del pubblico. Francesco, di appena 27 anni, è nato e cresciuto a Poggibonsi e, dopo essere stato invitato a Cannes, ora è in lizza per il ‘Globo d’oro’, un importante riconoscimento con cui la stampa estera premia i migliori prodotti della cinematografia italiana.
Quella di Francesco è una passione viscerale, che lui spiega essere nata proprio grazie al proprio territorio: “Poggibonsi è una città fortunata. Noi abbiamo Mario Lorini, presidente Anec, che sin dagli anni ’70 ha deciso di investire sul cinema, portando prodotti di qualità e facendo vedere prodotti rari. Tutto ciò da un lato ha fatto sì che nella nostra città nascesse un amore unico per il cinema e dall’altro ha creato campo fertile per chi vuole lavorare in questo settore”.
“Io credo molto nel territorio – dice ancora Francesco parlando del suo rapporto con Siena – e credo che si possano riscoprire tanti posti a livello cinematografico. Il nostro territorio viene utilizzato molto spesso come cartolina da tanti film internazionali, quando invece ci sarebbero tante storie, qui, da raccontare. Uno dei compiti deve essere proprio questo, un territorio non più come cartonato da scenografia ma che vive attraverso dei racconti”.
“‘La stanza più fredda’ è la storia di Attilio – racconta ancora il regista – un uomo che nella vita fa il necroforo, la persona che veste e trucca i morti per prepararli al loro ultimo viaggio. Attilio è follemente innamorato di un’infermiera dell’ospedale dove lavora senza però riuscire mai a dichiararsi”. “La cosa bella di questo film – prosegue – è che questa pellicola spinge le persone ad agire. Sono tanti che mi hanno detto di aver deciso di non aspettare oltre su qualcosa grazie alla visione del mio film. Il messaggio che avevo provato a lanciare – conclude Francesco Rossi – era duplice, da un lato un senso di dignità in un momento difficile, quello del lockdown, dove non potevamo neanche più dire addio ai nostri cari. Dall’altro il mio messaggio era proprio quello di non rimandare a domani: non si sa mai cosa ci può essere in futuro”.
Emanuele Giorgi
(Di seguito il servizio completo)
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