Una protesi robotica che si indossa come un braccialetto e che si trasforma in un dito artificiale all’occorrenza: è il sesto dito robotico, tecnologia frutto della collaborazione tra neuroscienze e ingegneria tra Scotte e Università, che ha vinto il premio Taobuk Da Vinci per il miglior progetto in tecnologia robotica al Festival di Taormina
Dietro al sesto dito robotico lavorano insieme il Sibin Lab, diretto dal professor Simone Rossi del dipartimento di scienze neurologiche dell’Aou senese, e il Sirslab, diretto dal professor Domenico Prattichizzo, del dipartimento di Ingegneria dell’informazione e scienze matematiche dell’Università di Siena.
Proprio Prattichizzo ha ritirato il premio. E nel dirsi “orgoglioso” del risultato ottenuto tra azienda ospedaliera e ateneo il docente ha ricordato come il sesto dito robotico “è estremamente utile per i soggetti con mano paretica perché consente di restituire la capacità di afferrare gli oggetti contrapponendo la mano paretica, con funzioni di palmo, al dito robotico che rappresenta una versione artificiale del pollice opponibile. Il dispositivo ha la finalità di ridare capacità di presa a chi ha perso la mobilità e la forza di un arto a causa di una patologia invalidante, come un ictus”.
La collaborazione delle due istituzioni si è sviluppata con l’unione di forze tra ingegneri, medici e ricercatori per il benessere dei cittadini e per le esigenze di salute di chi ha – o ha avuto – problemi piuttosto gravi di tipo neurologico, dall’ictus alle patologie croniche invalidanti.
“Stiamo sviluppando ormai da anni – aggiunge il professor Simone Rossi – questo tipo di tecnologie, a beneficio dei pazienti che si rivolgono al nostro ospedale e che sono affetti da patologie invalidanti riferibili principalmente a malattie neurologiche. E studiamo da tempo come il cervello si adatta a questi dispositivi indossabili”.
“Al sesto dito robotico -prosegue- si affiancano le cavigliere vibranti per migliorare il cammino nei malati di Parkinson; stiamo portando avanti degli studi di neuromodulazione transcranica per migliorare la percezione del linguaggio nei pazienti con protesi acustiche ed impianti cocleari; abbiamo ideato un dispositivo vibrante comandato da smartphone per la terapia degli acufeni. Altra linea di ricerca in forte sviluppo – conclude Rossi – è quella della realtà virtuale e aumentata che risponde agli stimoli del tatto, in modo da riuscire a registrare le sensazioni e le emozioni e a riprodurle, ma anche una nuova terapia di neuromodulazione per chi soffre di cybersickness, un frequente disturbo tipo “mal di mare” che colpisce molte persone immerse nella realtà virtuale”.