La depressione si impone sempre di più come una delle malattie più democratiche del mondo: colpisce ricchi e poveri, etnie e culture diverse. E nella società, ed in particolare tra i giovani, la patologia continua a diffondersi a macchia d’olio.
Ad evidenziarlo è anche lo psicologo senese Jacopo Grisolaghi. Se qualche anno fa era la pandemia da covid ad alimentare la depressione un forte contributo arriva ora da una realtà, la nostra, che è sempre più iper-connessa.
Le moderne tecnologie ci hanno aperto al mondo virtuale ma ci hanno chiuso nel nostro semplice vivere quotidiano, in particolare con le persone a noi vicine
“Di fatto per i cittadini hanno meno punti di ritrovo fisici. Si socializza di meno con gli amici – continua -. Questo cambiamento radicale ci ha portato ad essere chiusi. I sintomi? Umore flesso verso il basso, spossatezza, perdita di attenzione, assenza di piacere, disturbi del sonno”.
Fondamentale per chi soffre di questa patologia è chiedere aiuto. Il fare da soli non funziona, ricorda lo psicologo, ed il rischio è che si arrivi all’esacerbazione dei problemi.
E le famiglie? Istintivo il comportamento di stare vicino al proprio caro, accudirlo, dargli rassicurazioni anche più del dovuto.
“Ciò che può sembrare un aiuto può risultare dannoso. Non dico che bisogna essere distaccati ma se una persona si sente accudita potrebbe sviluppare sia una senso di colpa che adagiarsi su una determinata situazione. Il risultato potrebbe portare all’acuirsi della depressione”, continua.
MC
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