Professor Paolo Neri, il tema della sicurezza è quello centrale, dati gli avvenimenti esterni, di questo Palio. Cosa ne pensa delle misure prese? Ci sarebbero potute essere soluzioni diverse? Se sì, quali?
“Il Palio è vittima della sua notorietà, ormai planetaria (prima per via della televisione e ora per via di smartphone ecc.), per cui sarà sempre più difficile ingabbiare un evento, nato quattro secoli fa’, negli schemi del mondo di oggi.
Sulle misure prese è difficile esprimere un giudizio a priori: bisognerà vederle in pratica. Certamente, rattrista l’idea di vedere un evento così spontaneo e popolare prendere la strada dei controlli negli stadi. A quando, la tessera del Contradaiolo?”
Il Palio e l’evoluzione dei tempi, il Palio e la sua capacità di modificarsi all’interno di questa evoluzione, la sopravvivenza a eventi di enorme portata come le guerre, il Palio ora a che punto è?
“Il Palio è profondamente mutato, almeno da quello che abbiamo vissuto noi anziani. L’adeguamento ai tempi che mutano mi convince fino a un certo punto. Casomai, ci vedo maggiormente la sua commercializzazione, attraverso l’imitazione da parte di decine e decine di paliotti, che ne hanno sfruttato l’immagine e accresciuto gli introiti, soprattutto (ma non solo) dei protagonisti indiscussi: i fantini. Sicché, dal Palio delle Contrade siamo passati al Palio dei fantini. C’è anche il fatto che la provincia italiana è spesso terra di persone assai facoltose, ma prive di un corrispondente prestigio sociale. Fare, perciò, il Capitano di una Contrada – mettiamo – del Palio di S. Checca, conferisce notorietà; e, in più, un’aurea medievaleggiante, che ricorda tanto i diplomi offerti da certi istituti araldici fasulli. Una vetrina irresistibile, nel mondo piatto in cui viviamo. Così i fantini sono diventati stimati professionisti e i capitani convinti estimatori (per non dire succubi) dei fantini.
I ruoli si sono ribaltati: un tempo era la persona a dare prestigio alla carica di Capitano, e il giubbetto a darlo al fantino; oggi, il contrario. Onestamente, non mi sembra una grande evoluzione: casomai, un’involuzione. L’idea che si vada costantemente verso il meglio non ha fondamenta storiche”.
Ci si affaccia alla Carriera di Provenzano lasciando alle spalle un inverno che, di solito è il periodo migliore per discutere, confrontarsi, costruire qualcosa per la comunità, partendo dalle Contrade e sfociando poi nel Palio. Cosa è stato fatto rispetto allo scorso anno?
“Come la notte per l’uomo, così, l’inverno, per le faccende del Palio, dovrebbe portare consiglio: almeno così si dice. Si dice: ma poi le cose rimangono più o meno, quelle dell’estate. I problemi da affrontare non mancherebbero, se solo se ne potesse ragionare in maniera franca ,e, naturalmente, serena. Ma il Palio è un vespaio che, a stuzzicarlo, si rischia di essere punti. Perciò, meglio mormorarne tra amici. E non solo del Palio.
Mota quietare, quieta non movere, è un motto, che, a Siena, purtroppo, domina da troppi anni”.
Katiuscia Vaselli
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