Nel marzo 2020 l’Europa e il mondo facevano i primi conti col Covid-19, e, proprio l’Italia era il primo Paese a chiudere e a sperimentare il temuto lockdown. Ovviamente, impegnati in questa guerra, non ci sono solo i medici ospedalieri, ma sono tanti i professionisti che si sono impegnati nel fronteggiare il temibile Sars-Cov-2. Fra questi c’è la categoria dei medici di medicina generale, più noti come i medici di famiglia. Il dottor Maurizio Pozzi, specializzato in medicina interna ed idrologia medica, ci spiega come è stato l’anno appena trascorso.
Dottor Pozzi, come è stato l’anno che si è appena concluso per i medici di famiglia?
“Quanto tempo ha (ride, ndr)? Ci sarebbe da scrivere un libro su quanto è successo. Ci siamo trovati di fronte una malattia sconosciuta, con una invadenza epidemiologica e sociale elevatissima. La prima sfida è stata mettersi in gioco a livello organizzativo, dopodiché abbiamo dovuto fare i conti con giornate lavorative di 18 ore. Il fatto è che noi, per la natura stessa della nostra professione, dobbiamo instaurare un rapporto fiduciario con i pazienti. Voglio sottolineare inoltre che la Toscana se l’è cavata egregiamente. L’Asl Toscana sud-est, poi, ha gestito la situazione meglio delle altre due omologhe. Naturalmente ci sono stati degli errori, errori riconosciuti da tutti. Dal canto nostro, l’unica richiesta che abbiamo sempre fatto ai livelli superiori è stata di comunicare cose certe in maniera trasparente”.
Oggi i medici di famiglia sono diventati vaccinatori, come è stata una simile trasformazione?
“Dobbiamo dare atto alla regione Toscana, e all’assessore Bezzini, che è stata una scelta ben ponderata e razionale, tanto che anche il generale Figliuolo sta andando in quella direzione. Oggi la vaccinazione è un successo, basti pensare che tra ottobre e dicembre la mia categoria ha vaccinato 1milione e 400mila persone contro l’influenza. Il problema, se vogliamo trovarne uno, è quello della burocrazia. Per ogni paziente che si viene a vaccinare abbiamo una quantità enorme di carte da firmare, informazioni che, nella maggior parte dei casi, noi abbiamo già nei nostri database. Se si riuscisse ad eliminare tutta questa burocrazia il risparmio di tempo sarebbe enorme: io ho calcolato che nel tempo in cui vaccino un soggetto, senza scartoffie, ne potrei vaccinare tre”.
In Lombardia è stato sperimentato un protocollo per le cure a domicilio. Secondo il suo parere, una soluzione simile, applicata a livello nazionale, potrebbe allontanare il rischio di saturazione degli ospedali?
“Allora, prima di tutto devo premettere che non conosco nel dettaglio il protocollo di cui parla, quindi non sono in grado di darle un parere medico. So però, che un protocollo simile in Toscana non c’è, per un motivo molto semplice: non ne abbiamo avuto bisogno. In Lombardia, cosa di cui a volte ci dimentichiamo, si sono ritrovati in una situazione drammatica, che per fortuna non si è ripetuta qui da noi. La nostra regione, invece, ha applicato tutta una serie di strumenti (alberghi sanitari, rsa covid, reparti ospedalieri riconvertiti, etc.) che ha scongiurato la necessità delle cure a domicilio. Non dimentichiamoci che quando un malato ha necessità di essere curato con determinati farmaci, vuol dire che la situazione è già in stato avanzato: se possibile è bene che il paziente sia ricoverato in ospedale”.
Quale è il suo giudizio complessivo sulla risposta fornita dai medici all’emergenza?
“Prima di rispondere devo fare una nuova necessaria premessa: negli ultimi anni non si è investito nella categoria e nel nostro settore. Per dare un dato, il nostro ultimo contratto è del 2005. Detto ciò, io non posso che esprimere la mia soddisfazione per come la nostra categoria ha risposto in tempo di pandemia. Per quanto mi riguarda, io, posso dire di essere orgoglioso di far parte di quelli che hanno reagito”.
Emanuele Giorgi