Siamo andati ad aspettarlo, stamani di prima mattina, quel drappello di senesi che il 6 febbraio 1108, mandati dall’allora vescovo di Siena, Gualfredo, partirono dalla città per trafugare le spoglie del patrono Ansano, dal luogo del martirio, Dofana, nella dicocesi di Arezzo.
In realtà, all’inizio del XII secolo, Siena sta vivendo un momento storico particolare e serve, alla nostra città, una figura che crei uno spirito unitario e un’identità nella popolazione, e colui che aveva diffuso il cristianesimo in città (il “battezzatore dei senedi” come veniva definito Ansano) rispondeva appieno a tale necessità. La tradizione vuole, che dopo uno scontro armato con gli aretini, i senesi riescano ad impossessarsi del cadavere di Ansano ed a riportarlo in città per dargli una degna sepoltura in duomo. A Siena, intanto, il popolo in attesa si raduna nella zona dei futuri Pispini e, intravisto il corteo con il corpo del Santo, inizia ad urlare “il Santo viene, il Santo viene”. Tuttavia, la traslazione delle spoglie di Ansano a Siena è, probabilmente, meno avventurosa: si dice, infatti, che il vescovo Gualfredo si sia addirittura accordato con il presule aretino, Gualtiero, per spartirsi le spoglie del Santo, con il corpo trasportato a Siena e la testa rimasta nella città di Arezzo. Si diceva che le storie che raccontano come il cadavere santo sia arrivato a Siena sono molteplici. Una delle varie “passioni” che narrano la vicenda di Ansano, ad esempio, presenta addirittura i senesi come salvatori: si racconta, infatti, di come alcuni malintenzionati avessero tentato di portare via il cadavere dal sepolcro e di come l’intervento dei senesi li avesse messi in fuga e fatti desistere dall’intento. Scampato il pericolo, poi, gli stessi senesi aperta la tomba si erano accorti che il corpo era ancora integro (segno inconfondibile di santità) così decidono di trasportarlo in processione a Siena per farlo riposare nella Cattedrale. Il corpo di Sant’Ansano viene esposto alla venerazione dei fedeli per ben tre anni, sempre guardato a vista (a volte qualcuno avesse riprovato a rubarlo!) con vari turni giornalieri di guardia. Nel frattempo si costruisce, per deporvi con tutti gli onori il Santo, un prezioso altare di marmo che rimase gravemente danneggiato dall’incendio scoppiato in duomo nel 1359. Da allora della preziosa reliquia restano solo le due braccia e un dito.
Logicamente la tradizione vuole che porta San Viene prenda da questo evento il suo nome. In realtà il toponimo “San Viene” deriva solo dalla volgarizzazione operata dal popolo sull’intitolazione latina della vicina chiesa di Sant’Eugenia. Ah, vi chiedete se stamani il gruppo dei senesi trafugato è poi arrivato? No, ma nel silenzio di un luogo come Dofana che porta in sé parte di quello che diamo, seduti in un campo molle di rugiada, con il sole che inizia a riscaldare forse anche noi possiamo ritrovare un po’ di quello che siamo stati.
O che saremo.
Maura Martellucci
Roberto Cresti