“Adesso, se continuassimo le nostre ricerche, potremo riuscire a capire come avere una migliore risposta nelle politiche vaccinali, modulare meglio la struttura della proteina Spike per attivare la risposta immunitaria”.
Per Cosima Baldari, docente del dipartimento delle Scienze della vita dell’Università, lo studio che in suo gruppo ha condotto in collaborazione con Rino Rappuoli ed il Biotecnopolo può aprire ad ampi scenari in termini di risposta nella lotta al covid.
I risultati delle ricerche – partite nella scorsa primavera – sono stati pubblicati nella rivista internazionale The journal of experimental medicine e potrebbero dare un grosso contributo contro il covid. “Mi stava incuriosendo il fatto che certe volte la risposta immunitaria non fosse sufficiente a contrastare la malattia – le parole di Baldari – . E quindi ho deciso di avviare un’analisi sui linfociti”.
Il lavoro svolto negli ultimi mesi ha consentito di capire come la proteina Spike agisca non solo come mediatore dell’infezione, ma anche come soppressore di un meccanismo chiave dell’immunità antivirale, con importanti implicazioni per le strategie terapeutiche e vaccinali.
Ad essere osservati sono stati i linfociti T citossici, Ctl, che, quando riconoscono una cellula infettata, formano con questa una superficie di contatto altamente organizzata che serve come base operativa per coordinare il processo di uccisione, assicurando che siano eliminate efficientemente e selettivamente solo le cellule infettate e non le cellule sane. Tale piattaforma è nota come sinapsi immunologica.
Il gruppo di Baldari però ha scoperto che i Ctl esprimono la molecola Ace2 che lega la Spike di Sars-Cov-2 e che, nelle cellule dell’albero respiratorio, funziona come “cavallo di Troia” per permettere l’ingresso del virus e quindi avviare l’infezione. Nei Ctl il legame di Spike a Ace2 inibisce la formazione della sinapsi immunologica, e questo compromette la loro capacità di uccidere le cellule bersaglio. A supporto della rilevanza di questi risultati nella patogenesi del covid-19, linfociti isolati da pazienti presentano gravi difetti nella formazione della sinapsi immunologica.
“Le implicazioni dello studio sono molto importanti – evidenzia Baldari- perché più si conoscono meccanismi ed elementi della malattia, più si è capaci di rispondere. Adesso infatti andremo a guardare come il covid agisce sui linfociti T-helper che aiutano gli altri linfociti a produrre anticorpi. Vogliamo capire se Spike interviene anche qui come fa con i linfociti Ctl perché se fosse così allora sarebbe compromesso l’aiuto di T-helper e sarebbe bassa la presenza di anticorpi”.
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