In carcere a San Gimignano Santi Pullarà ha trascorso 27 anni. E’ stato arrestato all’età di 26, lasciando una moglie e una figlia di pochi mesi, dopo una brevissima latitanza che avveniva nel 1993, contemporaneamente a quella di Messina Denaro: “per fortuna mi hanno preso, almeno oggi ho scontato parte della pena e posso in qualche modo provare a vivere” dice.
Santi Pullarà non ha mai rilasciato interviste prima di oggi e anche questa ha forse più le sembianze di una chiacchierata – rigorosamente lontano da microfoni e telecamere – a margine della notizia che oggi è rimbalzata su tutte le cronache nazionali: Santi Pullarà, uomo di mafia condannato all’ergastolo, lascia il carcere di Ranza (era in semilibertà dal 2016).
Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze, secondo il quale “è fondato ritenere raggiunto il sicuro ravvedimento”.
Ovvio che la notizia potesse essere interessante, laddove la questura di Palermo ha lanciato un allarme per “attuali legami con Cosa Nostra”, ipotesi respinta dai giudici toscani che hanno ravvisato tutti gli estremi per la condizionale, grazie al cambiamento fatto negli anni.
Un cambiamento radicale iniziato in cella, con lo studio e la scrittura di un romanzo quasi autobiografico, la letteratura latina e la laurea in storia con il massimo dei voti all’università di Siena e ora la preparazione per la magistrale, il forte impegno nel sociale per aiutare chi ha disabilità fisiche e mentali, il lavoro. La vita a Siena. Una svolta, la sua. Così è stata definita e anche i docenti universitari senesi che lo seguono da anni, sono pronti a scommettere su di lui. Lui, figlio di Giovan Battista Pullarà che era boss del mandamento palermitano di Santa Maria del Gesù, lui cresciuto a pane e mafia e per amici i nomi storici di Cosa Nostra, oggi questo passato lo vuole lasciare nascosto insieme a una vita che non gli appartiene più.
Eppure bisogna farci i conti. Ogni giorno, finché qualcosa non scoppia: bastano alcuni articoli che riportano notizie in parte sbagliate e la lettera inviata dal suo avvocato, per riaprire le ferite. Sette omicidi tra cui quello di un bambino di 4 anni, si legge tra le altre cose. Ma “(…)Il Sig. Santi Pullarà non è mai stato imputato né condannato per l’omicidio del piccolo Andrea Savoca non avendo mai preso parte al cd. “gruppo di fuoco” autore del delitto; il Sig. Pullarà è stato condannato per l’omicidio dello zio del piccolo Andrea, Salvatore, avvenuto in tempi, luoghi e modalità del tutto differenti rispetto a quelli indicati nell’articolo (…).
Il Sig. Santi Pullarà, durante la sua lunghissima detenzione carceraria, non è stato mai sottoposto al regime del cd. “41 bis” Ordinamento Penitenziario. Il Sig. Santi Pullarà non è il genero del Sig. Giuseppe Farinelli, il suocero era tutt’altri”.
Questa la lettera che l’avvocato Giuliana Falaguerra, legale di Pullarà, ha inviato a tutta la stampa. E prosegue parlando del recupero ampiamente riconosciuto e avvenuto anche grazie alla “… attività lavorativa, di volontariato e di studio grazie al supporto della Cooperativa, del prezioso contributo offerto dal Prof. Alessandro Fo e dall’Università degli Studi di Siena ed al Polo Universitario presente nella struttura detentiva di San Gimignano, grazie al sostegno ed al lavoro d’equipe delle aree educative e pedagogiche di San Gimignano e Siena, ora proseguite dall’Uepe di Siena (…)”
“Vivo con tristezza questa giornata, perché ho passato 27 anni in carcere espiando parte della mia pena, leggere di fatti non veri che mi vengono addebitati dalla stampa e non dalla magistratura, appesantisce ancora di più. Dare la notizia della scarcerazione è diritto di cronaca ma va fatto parlando di fatti reali e non manovrando la notizia” dice Pullarà.
Quindi, quanti omicidi ha commesso? “Tre. E non ero del gruppo di fuoco che ha ucciso un bambino”.
A quanti anni è entrato in carcere? “Avevo 26 anni, ho lasciato mia moglie, una figlia piccolissima e ho perso la mia vita”.
Quindi ha recuperato, durante questi anni di carcere, e si sente lontano dal suo passato? “Non si recupera mai, i fatti sono storia che resta, non storiografia che si scrive e racconta. Si tenta di rimediare, ogni giorno ma chi ha un passato come il mio non può cancellarlo, così come non si può fingere che non esista il dolore provocato ad altri. Si tenta di vivere il presente con serenità, per quello che ci resta da vivere”.
Ci si scontra ogni giorno con giustizialismo o garantismo, comunque con i pregiudizi. Ma se lei fosse dalla parte di qua, a giudicare un killer mafioso, crederebbe nel suo cambiamento? “Parlano i fatti, dopo tanti anni di carcere difficilmente si ricade in una recidiva anche se non ci si può togliere il passato di dosso come fosse polvere”.
Suo cognato però, è stato nuovamente arrestato… “Non ne conosco i motivi, non ho alcun tipo di contatti con loro. La mia famiglia sono mia moglie, mia figlia, mia madre. Sento mia sorella soltanto per affetto ma non ho nulla a che vedere con la parte di famiglia di suo marito”.
Vorrebbe tornare in Sicilia o ha paura e cerca di tutelare la sua famiglia? “Io in Sicilia non ci torno, non l’ho mai fatto anche se avrei avuto possibilità. Vivo e lavoro qui a Siena e cerco di stare bene così, una città piccola che mi regala una dimensione di serenità, non ho alcuna intenzione di tornare a casa. Paura? No, non credo ci sia più nessuno di quelli con cui ho avuto a che fare. Ma tornare in Sicilia potrebbe voler dire destabilizzare tante situazioni”.
Ha mai pensato di chiedere perdono alle famiglie di chi è morto per mano sua? “No. E non perché sono arrogante verso il loro dolore ma perché il gesto potrebbe essere frainteso. Io non snobbo il loro dolore, me lo porto dentro e cerco di riscattarmi aiutando persone che hanno bisogno. E’ tutto ciò che posso fare perché indietro non si torna. Chi ha fatto parte di un sistema come quello in cui sono nato e cresciuto io, si porta dietro la maledizione della mafia, un tormento che non ti abbandona mai”.
Katiuscia Vaselli
(ha collaborato Marco Crimi)