La polvere di pomodoro che diventa la polvere che si sedimenta durante gli anni ed ancora l’immagine perenne di un passato che doveva essere ma che alla fine non è mai stato: nasce da qui l’idea del nome “L’industria della polvere” per una mostra fotografica che vede protagonista un eco – mostro ma che nasconde, verosimilmente, l’idea geniale di far conoscere qualcosa di brutto per renderlo un’occasione per il territorio. Perché per vedere un futuro partendo dal passato grigio della costruzione, serve un occhio attento e lungimirante e serve che la gente possa andare a scoprire cosa c’è dietro all’immagine che tutti conosciamo da sempre. Questo ha voluto il sindaco De Mossi attraverso l’esposizione.
Dietro alla Torre dei pomodori dell’Ex-Idit ci sono tante storie da raccontare: quella di un tentativo fallito di industrializzare un territorio, quella del simbolo del boom economico in provincia di Siena e quella di una struttura eccentrica rispetto alle campagne che la circondano. Con un’esposizione fotografica Carlo Vigni ha provato a raccontare tutte le sfaccettatura dell’enorme silos di Isola d’Arbia, “una figura malinconica” che si staglia nel cielo senese e che si può vedere dal Chianti fino alla Val d’Orcia, come ha detto il sindaco Luigi de Mossi durante la conferenza di presentazione odierna.
La mostra aprirà al pubblico domani al Santa Maria della Scala e sarà ospitata fino al 31 gennaio, è composta da una selezione di scatti che fanno entrare i visitatori all’interno di una delle architetture industriali più discusse dello scorso secolo. Vigni rivela così ciò che c’è dentro al più grande reperto di archeologia industriale che ci è stato lasciato dallo scorso secolo: il cinquantennale eco-mostro abbandonato e in stato di degrado che paradossalmente è diventato una parte del paesaggio della Toscana meridionale.
“C’era l’idea di farne un centro per ciclo-amatori, vista la vicinanza con la via Francigena. La Torre poteva essere integrata con palestre e depositi di biciclette dato che noi puntiamo molto sul cicloturismo – dice il sindaco di Siena Luigi de Mossi-. L’altra idea è di questi giorni: fare dell’ ex-Idit un museo di arte contemporanea. Stiamo parlando con architetti che hanno idee ben precise: Stefano Neri, per quanto riguarda l’idea del cicloturismo, mentre su quest’ultima idea ci sta lavorando l’architetto Giovanni Mezzedimi”
“Ho fotografato quello che può essere anche un ‘simbolo’ del nostro campanile – esordisce così Carlo Vigni, autore dell’esposizione – . Mi ha sempre colpito la dimensione simbolica di questa torre di oltre settanta metri che come un campanile laico, devoto al culto della produzione e del progresso, ho sempre visto fin da bambino. Un simbolo però che, mi è apparso chiaro, nulla ha dell’operosità contadina della gente della val d’Arbia”
Curatori della mostra sono Carlo Nepi e Francesca Sani. La mostra è allestita all’interno del Refettorio e della sala San Galgano, al quarto livello del Santa Maria della Scala. “Nell’anno 1960, velata dietro il più tipico cerimoniale dell’Italia democristiana – il taglio del nastro con Arcivescovo, ministro, telegiornale nazionale – la ferita inferta al paesaggio non era sembrata la peggiore delle conseguenze; quel che contava era la prospettiva dello sviluppo, il miglioramento delle condizioni economiche, le possibilità di una nuova occupazione -afferma Nepi-. L’impianto rimase in funzione per pochissimo tempo; nel 1966 la Società era già fallita senza che la produzione fosse praticamente mai entrata a regime. Il simbolo di questo disastro è soprattutto quella torre, inizialmente coperta di vetro e poi, piano piano, proseguendo nell’inevitabile degrado, spogliata di ogni rivestimento e di tutte le parti fragili e deperibili, fino alla essenzialità della sola struttura, del nudo scheletro di cemento e ferro”.
Katiuscia Vaselli
Marco Crimi