Il fenomeno degli omicidi commessi dai figli verso i propri familiari rappresenta uno degli atti più scioccanti e incomprensibili per la società. Tali eventi, che si verificano tra le mura domestiche, sconvolgono non solo la comunità direttamente coinvolta ma anche l’opinione pubblica, generando interrogativi profondi sulle dinamiche che possono indurre un giovane, talvolta minorenne, a trasformarsi in un assassino.
L’omicidio avvenuto a Paderno Dugnano (Milano), dove un 17enne ha ucciso padre, madre e fratello, è solo l’ultimo di una serie di episodi che sollevano preoccupazioni e domande sulla natura di questi crimini.
Bene ricordate che la famiglia non sempre rappresenta il posto sicuro che l’osservatore ingenuo potrebbe immaginare. Molti omicidi e tante efferate violenze avvengono tra le mura domestiche. La famiglia è un calderone di emozioni, dove può emergere il meglio ma anche il peggio. In seno alla famiglia si hanno le dinamiche relazionali più complesse: al suo interno vi sono conflitti nascosti, rivalità e invidie. Ricordiamoci che tutte le religioni monoteiste parlano dell’omicidio del fratello. L’inizio della religione cristiana, con Caino e Abele, è la metafora proprio di questo.
Le dinamiche che conducono a questi crimini sono complesse e possono essere influenzate da una molteplicità di fattori, tra cui disturbi mentali, abusi, mancanza di guide, di modelli da seguire, conflitti familiari irrisolti, sostanze e un contesto socio-culturale che può aggravare la situazione.
Spesso emerge un quadro psicopatologico complesso: pensiamo alla schizofrenia, al disturbo bipolare, ai disturbi della personalità antisociale e borderline, ai disturbi dell’umore, o alla presenza di psicosi o deliri. In altri casi, specialmente se si tratta di adolescenti, l’immaturità emotiva e lo sviluppo incompleto del cervello, soprattutto delle aree preposte al controllo degli impulsi e alla regolazione delle emozioni, possono giocare un ruolo importante, amplificando reazioni violente a situazioni di stress o conflitto.
Molti dei ragazzi che commettono omicidi intra-familiari hanno alle spalle storie di abusi fisici, emotivi o sessuali. Gli abusi subiti possono creare un terreno fertile per lo sviluppo di una rabbia repressa e di sentimenti di impotenza. Spesso, l’omicidio è visto come un’azione disperata per porre fine a una situazione percepita come insostenibile.
Il trauma continuo e prolungato può anche portare allo sviluppo di comportamenti dissociativi, dove il giovane può perdere la capacità di sintonizzarsi emotivamente con le vittime. La dissociazione può manifestarsi come un distacco dalla realtà o dalla gravità delle proprie azioni, portando a una violenza che sembra disconnessa dalle normali reazioni emotive.
Un altro fattore rilevante è l’uso di sostanze stupefacenti, come droghe o alcol. Queste sostanze possono alterare la percezione della realtà, abbassare le inibizioni e intensificare reazioni violente. L’abuso di sostanze spesso viene utilizzato come una forma di auto-medicazione per gestire il dolore emotivo o l’ansia. Tuttavia, invece di risolvere i problemi, le droghe, vere e proprie tentate soluzioni fallimentari, possono aggravare la loro condizione mentale, portando a reazioni tragiche.
Famiglie caratterizzate da conflitti cronici, mancanza di comunicazione, controllo eccessivo o assente, e dinamiche di potere squilibrate possono inoltre creare un ambiente tossico che alimenta sentimenti di ostilità e frustrazione nei figli. In molti casi infatti, gli omicidi intra-familiari sono preceduti da lunghi periodi di tensione e conflitto. La mancanza di vie di fuga o di supporto esterno può portare i giovani a vedere l’omicidio come l’unica via d’uscita. In queste situazioni, l’omicidio può essere percepito come un tentativo di affermare un controllo che sentono di non avere nella loro vita quotidiana.
A tutti questi elementi, a parere di chi scrive, se ne aggiunge un altro, altrettanto complesso e forse ancor più dilagante nella società contemporanea: la crisi del modello maschile e femminile e la mancanza di guide che indichino la strada. Gli uomini, oggi, sembrano essere in crisi: non sanno più chi sono e cosa vogliono dalla vita, non avendo una strada da seguire. Questa crisi si riflette in molti figli, che non trovano nei loro genitori modelli forti e coerenti a cui far riferimento.
Matteo Carnieletto, nel suo libro “Alla ricerca di Ettore”, esplora proprio questa mancanza di modelli. Carnieletto propone Ettore, l’eroe troiano che, pur sapendo di andare incontro alla morte, affronta Achille con coraggio, come esempio di uomo, marito, padre e guerriero. Ettore rappresenta la tradizione che diventa eredità, un modello di sacrificio e amore che sembra mancare nella società moderna.
La figura di Ettore contrasta nettamente con la percezione moderna degli uomini come figure incerte, disorientate e spesso assenti dal punto di vista emotivo e relazionale. I giovani maschi, privi di un modello di riferimento forte e positivo, possono sentirsi persi, senza valori e incapaci di definire la propria identità, alimentando sentimenti di frustrazione e rabbia che possono sfociare in violenza.
L’assenza di una figura paterna o materna, la presenza di un padre distante o di una madre disfunzionale, può lasciare i figli senza una guida morale e senza l’esempio di come gestire le proprie emozioni in modo sano. Questo vuoto è spesso colmato da modelli altrettanto vuoti, come quelli offerti dai media o dalle correnti culturali dominanti, stracolme di apparenza ma totalmente prive di sostanza.
Non credo che esistano bacchette magiche per far sì che non si ripetano tragedie come quelle che il primo settembre abbiamo letto, ma ritengo essenziale che sensibilizzare giovani e meno giovani, genitori e figli, su temi legali alla gestione delle emozioni e alla riscoperta dei valori, sia ormai prioritario. Imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni, per non farsi da esse travolgere, sviluppare competenze relazionali e comunicative, riscoprire valori che facciano da guida e costruire una rete di supporto sociale, possono fornire ai ragazzi e ai genitori strumenti essenziali per affrontare le sfide della vita in un modo dove la prima agenzia formativa naturale, cioè la famiglia, sembra essersi sgretolata.
Questa educazione dovrebbe includere anche una componente di responsabilità morale e sociale, insegnando l’importanza del rispetto per la vita e per gli altri. La costruzione di una società più umana richiede un impegno collettivo. Le istituzioni, la società civile e le famiglie devono lavorare insieme per creare un nuovo umanesimo. Solo attraverso un rinascimento che metta al centro l’uomo sarà possibile arginare la dilagante violenza e riscoprire modelli positivi per poter offrire ai giovani esempi di forza e amore, aiutandoli a trovare un significato e uno scopo nelle proprie vite.
Dott. Jacopo Grisolaghi
Psicologo, Psicoterapeuta, Dottore di Ricerca in Psicologia, Sessuologo, PsicoOncologo, Ricercatore e docente del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Professore a contratto Università degli Studi eCampus e Università degli Studi Link di Roma
www.jacopogrisolaghi.com
IG @dr.jacopo.grisolaghi
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