di Santino Gallorini
Ringrazio l’autore per la citazione del mio libro “Viva Maria e Nazione Ebrea”, anche se vorrei sottolineare come le prime due frasi, a me attribuite, non compaiano affatto in esso. E quella che è la mia spiegazione dei fatti del 28 giugno 1799, viene del tutto stravolta e ribaltata.
Nel 2009, prima di pubblicare il mio volume sui rapporti tra l’insorgenza del “Viva Maria” (1799) e la Nazione Ebrea, in special modo a Monte San Savino ed a Siena, chiesi una prefazione a due illustri studiosi di differenti sensibilità: Franco Cardini e Roberto G. Salvadori. Entrambi gentilmente me la fecero. Le conclusioni a cui giunsero furono ovviamente opposte, ma ambedue concordarono sulla validità e la serietà del lavoro da me svolto. Ecco, era proprio quello che volevo: dimostrare come gli stessi documenti potessero portare ad avverse conclusioni eminenti studiosi, in virtù di differenti idee.
Ma su certi passaggi non ci può essere una diversa valutazione, a prescindere dalle sensibilità di chi legge. E per gli atroci fatti di Siena del 28 giugno 1799 i documenti sono univoci, al punto che gli stessi Massari della Comunità Ebraica di Siena, nella loro relazione – citata dal giornalista del Corriere di Siena – terminano in maniera inequivocabile: “Tale narrativa basata su fatti reali senza alcuna alterazione, perpetua una macchia indelebile alla città di Siena”. E sotto ribadiscono: “Questa narrativa … denigra l’Epigrafe che la città di Siena porta in fronte = Cor magis tibi Sena pandit”.
Delinquenti comuni Quindi, i Massari sapevano bene quello che adesso anche noi sappiamo. La massima parte delle violenze al Ghetto e la totalità degli assassini furono opera di delinquenti comuni, residenti nell’area intorno: Pantaneto, Salicotto, Porta Romana. Entravano nella case al grido di “Robba! Robba! Quattrini! Quattrini!” e non di “Viva Maria!”.
Nella mia indagine ho ricercato i processi per i fatti del Ghetto di Siena, ho ricercato i nomi dei colpevoli delle violenze e delle uccisioni, ho indagato presso l’archivio di Stato di Siena, presso quello di Firenze, e presso altri archivi. Grazie alla dottoressa Anna Di Castro, ho avuto modo di consultare anche i documenti conservati presso l’Archivio della comunità Ebraica di Siena.
Furono i senesi Per 9 dei 13 ebrei uccisi, gli assassini appartenevano al popolino senese (Vincenzo Lorenzetti detto Gallinaccio, Ambrogio Vermigli detto Brogio Matto, Luigi Anastasi detto Gigi Bestia, Assunto Provvedi detto Pinona, Pietro Trinci stracciaiolo, Giuseppe Lunardi, Baldassarre N. detto Pancia Nera, N. N. detto Tono Tono, N. N. figlio di Giangia del Rialto, N. N. calderaio a San Donato, N. Bacci detto Scanza, Antonio Martinelli, Agostino Torzellin, Giuseppe Poggi, Agostino Merlini, Giuseppe Conti, Giovanni Morandi, Pasquale Giannetti ecc.), una donna fu uccisa da una pallottola mentre si affacciava al balcone di un amico e pertanto sarà difficile risalire a chi sparò, mentre per altri tre ebrei non ho trovato i nomi degli assassini. Senesi furono gli assassini degli ebrei nella Sinagoga, senesi quelli che uccisero gli ebrei in Piazza del Campo.
Dai processi a coloro che assalirono il Ghetto viene fuori che erano quasi tutti cittadini senesi abitanti lì vicino. Essi sfruttarono l’occasione della mancanza di controlli, quando i francesi si erano ritirati in Fortezza e gli insorgenti entrati in Siena erano corsi loro dietro e si stavano sparando fra la Lizza e la stessa Fortezza, per assalire alcune case del Ghetto e la Sinagoga. Per fare che cosa? Per rapinare gli ebrei ricchi! Al banchiere Levi, che chiedeva di non essere molestato dissero: “state tranquilli che non vi si tocca!”, ovviamente purché desse loro soldi, argenti ecc.
Un ebreo testimonia che mentre scendevano giù per le scale, uno disse agli altri: “da questi altri qui accanto non ci andate, sono povera gente”.
Negli atti giudiziari e nelle testimonianze, trovo quelli del Viva Maria, ma a cacciare gli assalitori del Ghetto, a far loro restituire la roba rubata agli ebrei, a fare la sentinella al Ghetto ed alle case degli ebrei fuori dal Ghetto!
Anche sulle accuse all’Arcivescovo Zondadari di non aver fatto nulla per salvare gli ebrei dalle violenze, ci sono elementi discordi. Perché quando tornano i francesi (1800) e prendono in ostaggio alcuni notabili senesi, fra cui l’Arcivescovo, gli ebrei di Siena vanno a Firenze e fanno rilasciare dai Francesi lo Zondadari? Perché il rabbino senese Cabibbe scrisse che lo Zondadari, sollecitato dal pescivendolo Mascetto si vestì con i sacri paramenti e si portò a San Martino per far cessare i misfatti contro gli ebrei? E lo stesso scrissero i Massari nella loro ricostruzione, attribuendo al pescivendolo Luca Mascetto, il merito di essere andato ad avvertire l’Arcivescovo e averlo indotto a recarsi a fermare l’assalto al Ghetto.
Probabilmente fu così grande la vergogna per quei fatti atroci del 28 giugno, che per salvare la faccia alla Città si cercò di attribuire il misfatto agli insorgenti del Viva Maria, venuti da fuori, meglio se da fuori contado o da Arezzo. E uno dei primi a cambiare versione fu quel Paolo Sarti, tra coloro che nel luglio 1799 si recarono ad Arezzo per ringraziare la Madonna del Conforto – patrona della città – per la “liberazione” di Siena e poi, una volta diventato avvocato della Nazione Ebrea senese per chiedere un risarcimento al tornato Granduca, grande accusatore degli insorgenti aretini.
Credo che occorra conoscere e studiare al meglio i documenti superstiti, per arrivare ad una migliore ricostruzione di quei tragici fatti, al di là delle ideologie e delle appartenenze. E i documenti al momento conosciuti vanno in una direzione diversa dalla vulgata comune, al punto che ritengo sostanzialmente falsa l’epigrafe affissa dal Comune anni fa sulla facciata della Sinagoga di Siena.
Santino Gallorini è autore del libro “Viva Maria e Nazione Ebrea”