Il fascicolo della dipendente dell’Asl di Pian d’Ovile accusata di aver sottratto denaro agli utenti si ingrossa. Un uomo è andato dai carabinieri per denunciare di essere caduto nell’inganno.
Ci ha pensato parecchio Giovanni (il nome è di fantasia) prima di decidersi ad andare a denunciare i fatti alla stazione carabinieri di Siena – Viale Bracci, ma quella vicenda gli bruciava ancora per molti motivi. Non era stato tanto il danno a rodergli dentro, ma l’umiliazione di essersi dovuto sentire sciocco: “come ci sono potuto cascare!”- pensava.
Aveva ancora stampato nella mente il viso di quella donna che con un banale trucco l’aveva fatto distrarre per levare 50 euro dal suo portafogli, poggiato sulla scrivania di un ufficio pubblico, presso l’ASL di Pian D’Ovile. Di quella donna abbiamo parlato ampiamente nei giorni scorsi, ma i denuncianti continuano ad affluire presso la stazione dei carabinieri per raccontare la loro esperienza. Il giochetto era banale: la richiesta della tessera sanitaria costringeva l’ospite ad estrarre ed aprire il portafogli sulla scrivania e subito dopo un contenitore di penne, senz’altro dozzinali e mal funzionanti, veniva fatto ruzzolare sul pavimento dalla parte del candidato di turno alla sottrazione. Mentre questi si indaffarava nella raccolta, gli venivano sottratti in genere 50 euro o anche di più, a seconda delle circostanze.
Tra l’altro, quel giorno Giovanni doveva fare un visita specialistica prenotata da tempo e non aveva assolutamente programmato quell’incontro. Era stata la dipendente dell’ASL a condurlo nel proprio ufficio con la scusa di una banale verifica. “Perché ha scelto proprio me? Ho forse la faccia poco furba?”: aveva pensato l’uomo. Questo gli rodeva, per questo ne aveva parlato solo con la moglie. Si era reso conto dell’ammanco al momento di dover pagare il ticket e gli era preso un colpo, aveva quasi avuto una illuminazione, era certissimo di aver avuto nel portafogli quella fiammante banconota che ora non trovava più. Gli era anche venuto l’istinto di tornare in quell’ufficio e di coprire d’improperi quella donna, di urlarle quanto meritava, ma con quale risultato? Quello di farsi querelare perché non possedeva lo straccio di una prova?
Non si poteva fare, ma l’idea di passare per fesso gli rimbalzava spietata da un angolo all’altro dello stomaco. “Com’è possibile che questo possa accadere in un ufficio pubblico?” – pensava. In realtà sarebbero stati proprio i superiori della donna a raccogliere alcune lamentele e a comunicarle formalmente ai carabinieri che poi avevano piazzato una microcamera sulla scrivania della sospettata, riuscendo così a dimostrarne le responsabilità. Giovanni non si sarebbe mai presentato a far denuncia, anche dopo l’esplosione pubblica della vicenda, non tanto per non certificare le responsabilità di chi l’aveva ingannato, ma per non rischiare di far sapere a tutti di esser stato buggerato, di dar l’idea di non essere più sveglio come una volta, di essere invecchiato. Poi la moglie l’aveva consolato, in fondo non era stato l’unico ad essersi fatto abbindolare. I danni esistenziali che aveva subito, quasi una crisi d’identità, il sentirsi diverso da prima, il sentirsi vecchio, dovevano essere riparati.
I due coniugi si erano anche rivolti ad un avvocato che non ci aveva pensato neanche un attimo: “non ti devi sentire in colpa, devi correre dai carabinieri di Viale Bracci!” – aveva sentenziato il legale. E così il fascicolo della donna si va ingrossando, per il momento è stata interdetta da ogni contatto con il pubblico per la durata di un anno e c’è un giudice che la attende per qualificare e possibilmente sanzionare quei comportamenti.