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Giorno della Memoria, la testimonianza: “Mio padre internato in un campo, le sigarette gli salvarono la vita”

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A salvare Ottavio Dominici dal campo di concentramento fu una casualità: l’internato, nato a Trequanda, non era un fumatore e poteva così scambiare le sigarette ricevute nel lager con il cibo, riuscendo così a sopravvivere.

“Molti altri prigionieri, invece, avevano perso ogni speranza. Pensavano che non sarebbero mai tornati a casa, fumavano le loro sigarette e, purtroppo, morirono quasi tutti”, racconta il figlio Mauro, che oggi in Prefettura ha ricevuto la medaglia commemorativa destinata al padre, scomparso da tempo. “Lui – prosegue – raccontava spesso di quando, durante il viaggio di ritorno, dopo aver superato i confini, accese una sigaretta insieme a un amico. Questo episodio segnò l’inizio di una lunga abitudine al fumo, che lo accompagnò per molti anni fino a tarda età. È morto a 84 anni, ma il vizio del fumo rimase una costante della sua vita. Tuttavia, diceva che le sigarette, in qualche modo, gli avevano salvato la vita”.

Ottavio venne fatto prigioniero a vent’anni: “Stava sostenendo le visite militari – dice ancora il figlio -. Fu catturato immediatamente e caricato su un treno merci insieme a molti altri. Nessuno di loro sapeva dove sarebbero stati portati. Durante il viaggio, c’era una donna che raccoglieva gli indirizzi dei prigionieri e successivamente informò le famiglie che erano state deportati in Germania”.

“Durante il tragitto, alcuni tentarono di scappare – continua-. Mio padre rischiò di morire quando i soldati, in risposta ai tentativi di fuga, presero i prigionieri rimasti nel vagone, li misero in fila e ne giustiziarono uno ogni due. Dopo l’arrivo in Germania, fu costretto a lavorare per due anni in una miniera ai confini la Polonia”.

“Riflettendo sulla sua storia, penso ai suoi racconti e, soprattutto, ai lunghi silenzi che spesso li accompagnavano. Quando cercavamo di parlargli di quegli anni, si commuoveva e le lacrime gli rigavano il volto – è il ricordo del figlio – . Nonostante tutto, riuscì a trasmettere tanto amore. È stato un punto di riferimento non solo per me, ma anche per mio figlio, che ha sempre avuto un’immagine positiva e amorevole del nonno. Per noi, questa medaglia rappresenta molto di più di un semplice riconoscimento: è un simbolo di memoria, un libro che narra il male e l’orrore di quel periodo, ma anche la capacità di tornare a casa e ritrovare amore”.

La chiosa: “È nostro dovere custodire questa memoria, raccontarla e leggerne le pagine ai nostri nipoti. La guerra di mio padre deve essere l’ultima. L’amore deve prevalere sull’odio”.