Pubblichiamo il contributo del professor Paolo Goretti scritto sul blog La versione di Giampy , attualmente Rettore del Collegio dei maggiorenti dell’Aquila, capitano dell’Aquila dal 1971 al 1977 ( vittorioso il 16 agosto 1973 con Panezio ed il fantino Ercolino) , priore dal 1998 al 2001 e grande memoria storica di Siena.
“Per la stima che mi lega a lui- scrive Giampiero Cito, blogger del sito La versione di Giampy-, mi sono permesso di chiedere un contributo a Paolo Goretti per fare un paragone tra i giorni che stiamo vivendo con quelli che visse lui durante la Seconda Guerra Mondiale. Ci racconta di una Siena vuota e surreale, senza il Palio, passato tristemente a priorità secondaria della vita delle persone. Grazie Paolo, sono orgoglioso di ospitarla e darle voce nel mio piccolo blog”.
“L’epidemia da Covid 19, un’emergenza che molti definiscono surreale, con le conseguenze che ne derivano, riporta alla memoria di chi, come il sottoscritto, ha vissuto gli anni ormai lontani della guerra alcune analogie fra i due eventi pur nella loro apparente diversità.
Affacciati alla finestra, allora come oggi, vedevamo le strade sempre più deserte. Negli ultimi giorni di giugno del ‘44, la linea del fronte ormai si avvicinava sempre più. Era una cruda realtà scandita dal rombo dei cannoni francesi piazzati sulle colline di Monsindoli e dal sibilare dei proiettili che sorvolando la città andavano a schiantarsi a nord, sulla Via Cassia per ostacolare i movimenti delle truppe tedesche. Il timore che i francesi, per convincere i tedeschi a lasciare la città, decidessero di abbassare l’alzo dei cannoni era ben presente nei senesi ed in noi ragazzi la voglia di organizzare il solito palio venne meno. Ormai il solo pensiero era l’attesa dell’ingresso delle truppe alleate in città, evento che avrebbe rappresentato comunque la fine di un incubo.
I furti con atti di violenza da parte delle SS erano frequenti e terrorizzavano i commercianti. Ricordo ancora un brutto episodio al quale mi capitò di assistere quando alcuni tedeschi sfondarono la porta della vecchia drogheria Barblan-Riacci in Banchi di Sopra.
Come sta accadendo oggi, si potevano vedere, in numero crescente, saracinesche abbassate e porte di botteghe sprangate. I pochi negozi rimasti aperti, come Il Piccolo Parigi, un negozio di giocattoli in centro dove nel doposcuola facevo il ragazzo di bottega, ormai non avevano quasi più clienti.
Allora, come oggi, si vedevano solo pochi passanti frettolosi che cercavano di raggiungere il posto di lavoro o se ne tornavano a casa al termine. Sparuti gruppetti sostavano in coda davanti alle botteghe di generi alimentari per rifornirsi di quel poco che la tessera annonaria concedeva. La fame era una brutta realtà soprattutto per noi ragazzi che affrontavamo il periodo della crescita adolescenziale con una dieta priva di principi essenziali.
Dagli angoli erano scomparsi gli abituali crocchi di donne con la borsa della spesa che parlando ad alta voce, alla nostra maniera, facevano risuonare l’aria mettendo al corrente gli abitanti delle case circostanti sulle novità della città e del rione.
Nelle notti il coprifuoco rendeva la città ancor più spettrale. Spesso c’era la visita di un aereo, La vedova, così lo chiamavano, che sganciava spezzoni a casaccio nel centro. Uno portò via di netto la cucina di una casa davanti alla mia abitazione ed un altro, dopo aver sbattuto nel muro sotto a dove dormivo senza esplodere, andò a conficcarsi fra le pietre della Costa Larga.
Ascoltare oggi, nel silenzio delle strade deserte, i passi di persone che tornano a casa dopo aver riempito grandi borse in qualche supermercato riporta alla memoria il fruscio di passi che in quelle notti lontane indicava qualcuno che si muoveva furtivo nell’ombra, da un portone all’altro, trascinando enormi borse colme di generi alimentari trovati chissà come e destinati alla famiglia, oppure al mercato nero.
Di tanto in tanto era il risuonare sulle lastre delle scarpe ferrate dei plotoni tedeschi che rompeva quel silenzio surreale. A quello sgradevole rumore eravamo ormai abituati e quando sul finire della notte fra il 2 e il 3 luglio del ’44 i francesi entrarono in città, nella penombra fu la diversità del loro passo frusciante per le suole di caucciù, a rivelarmi, come a molti senesi la grande novità.
Dal 1940 in poi, nei giorni in cui avrebbe dovuto svolgersi il Palio, stringeva il cuore vedere la Piazza del Campo senza il giallo del tufo, senza palchi e con le finestre prive di arazzi. Al centro della Piazza, dove i senesi un tempo aspettavano con ansia l’uscita dei barberi dall’Entrone, c’era solo una grande croce rossa dipinta in campo bianco ad indicare inutilmente una città ospedaliera.
Era proprio nei giorni della nostra festa andata perduta, che avvertivamo maggiormente la gravità della situazione ed i pericoli che incombevano sulla città. La guerra, oltre alle tante cose belle della gioventù, ci aveva tolto, anno dopo anno, anche i maestri di tamburo e bandiera e, forse inconsciamente per evitare la depressione, noi ragazzi organizzavamo un palio posticcio da correre nei vicoli o intorno all’aiuola rotonda della Lizza tirando a sorte chi doveva fare il fantino e chi il cavallo. Ai sorteggiati per fare il cavallo legavamo in testa la spennacchiera di cartone colorata con le strisce di carta del Masti alle Logge del Papa, ritagliate ed incollate con farina bollita nell’acqua. Tutto era rispettato con tanto di nomina del mossiere, nomina di Capitano e mangini,estrazione a sorte dei cavalli e tutte le prove che si ripetevano alle ore previste fino al palio la sera del 2 luglio e del 16 agosto. Ricordo però che di anno in anno c’era sempre meno entusiasmo perché in ognuno di noi andavano aumentando i problemi familiari derivanti dalla guerra.
Con l’aggravarsi della situazione la Piazza divenne sempre più deserta come lo è ora. Nei giorni fra giugno e luglio del ’44 soltanto due code di persone silenziose aspettavano davanti alle cannelle della vecchia e amica Fonte Gaia il loro turno, come al tempo di Jacopo Della Quercia, con fiaschi e damigiane per rifornirsi di acqua dopo che era stata interrotta l’erogazione dell’acquedotto del Vivo. Qualche gruppetto sostava di fronte alle poche friggitorie ancora aperte in città nell’attesa di riempire lo stomaco di polenta fatta con farina di castagne, poco nutriente, ma che saziava a buon mercato
Finalmente arrivò il 3 luglio e fu un giorno indimenticabile nel quale tornammo a vivere con un’esplosione di gioia che ci portò tutti nella Piazza del Campo strapiena come per il Palio, che tanto ci mancava. Con le bandiere delle Contrade che tornavano finalmente a sventolare sul Campo quel giorno fu per molti di noi come festeggiare un Palio vinto.
Così sarà anche in questa attuale, triste evenienza. Riusciremo a vincerlo questo palio anomalo pure se siamo costretti ad affrontare con pazienza sacrifici necessari, ma che permetteranno di evitare danni, o quantomeno a limitarli. Lo vinceremo e torneremo a vedere le nostre strade riempirsi nuovamente come in quel lontano mattino di luglio. Allora il Covid 19 sarà solo un ricordo e tutto tornerà come prima”.
Paolo Goretti