Guarito dal covid, il monito di Michele: “Il virus è reale ed è stato un incubo”

“L’umanità, la volontà di trasmettere sollievo, di dare un sorriso, di farci stare bene, di donarci un’attenzione particolare in quelli che sono stati i giorni più difficili”, è stato questo quello che ha colpito di più Michele Cannoni  del comportamento dei medici, degli infermieri e di tutto il personale sanitario presente nell’area covid delle Scotte. L’uomo, di 46 anni, tra marzo ed aprile, è stato uno dei primi pazienti ricoverati per il contagio da coronavirus all’interno del nostro ospedale.

 

 

Oggi lunedì 21 dicembre, nove mesi dopo da quando è entrato nel policlinico,  Michele ha deciso di fare un regalo al personale sanitario che lo ha seguito: 100 bottiglie di Rosso di Montalcino prodotte dall’azienda della moglie. “Sono stati eccezionali – racconta a Siena News-. Il mio ringraziamento ha poco significato, ma spero con il mio contributo di aver dato a tutti loro un momento di quella stessa felicità che loro hanno cercato di donare a me in quelle settimane. Da quando sono guarito avevo l’intenzione di ringraziare tutti- continua-, nessuno può rendersi conto del loro sacrificio, solo chi è stato dentro un’area covid capisce che cosa stanno facendo. Quando ho avuto le forze la prima cosa che ho voluto fare è stato passeggiare nei filari dell’azienda di mia moglie e di suo fratello, nella Tenuta dove ho acquistato le bottiglie da donare”.

Michele ha iniziato la sua battaglia contro il covid il 22 marzo. “In quelle settimane ancora non esistevano le linee guida per le cure, su di me sono stati testati diversi farmaci- ci spiega- . Sono arrivato al limite quando mi è stato messo il Cpap con un livello d’ossigeno al 50% : per due notti ho dormito nella semi-intensiva”.

 

 

I momenti vissuti quei giorni sono difficili da dimenticare: “a livello fisico sentivo la stanchezza e mi sentivo debole – dice-, a livello mentale e d’animo è stata molto più dura: ero lontano da tutti i miei affetti, dentro ad una camera con un’altra persona sconosciuta. Mia moglie era in isolamento domiciliare perché asintomatica, ci potevo parlare poche volte al telefono. Non vedevo un futuro, non sapevo se avevo un futuro: quando sono andato in sub-intensiva avevo paura di morire senza poter salutare un’ultima i miei cari. Quello che ho provato è una sensazione che ti fa capire molto della vita, ti fa capire quelli che sono i veri valori”.

Infine Michele lancia un monito a chi ancora non crede alla pericolosità del coronavirus. “Lavorando in un agriturismo ho incontrato persone che non credevano al mio ricovero – afferma-. Il covid non è una cosa detta dai giornali per vendere le copie, è qualcosa di reale. Io non auguro a nessuno di passare quello che ho passato io, ma dobbiamo renderci conto che questa è una cosa vera che non bisogna prendere sottogamba – conclude-. E’ una malattia e delle persone che hanno fatto e dato tanto per il nostro Paese, come i nostri anziani, alla fine si sono trovate a morire da sole in un letto di ospedale”.

Marco Crimi