“Sapete quale è stato il problema a monte? Questo è stato un fenomeno mediatico prima di essere un fenomeno umano. Per me è sempre stato il limite. E nella Diocesi lo avevamo capito subito. Per me è sempre stata una criticità che questo bambino fosse trattato un po’ come un fenomeno da baraccone e che invece non ne fossero colti i problemi umani, sanitari e sociali”.
Così il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, è intervenuto commentando il lungo – e durissimo – articolo del giornale tedesco Der Spiegel che ha intervistato la famiglia El-Nezzal, che fu ospitata ad Arbia fino a qualche mese fa e che ora si trova – misteriosamente – in Baviera. Una intervista che spara a zero sull’Italia partendo dal caso di Mustafà e che non risparmia termini pesanti nei confronti della sanità italiana, dell’accoglienza, della città di Siena. Con un taglio che in modo visibile quanto incomprensibile punta il dito contro l’accoglienza di Siena.
Già le prime righe del testo del giornale tedesco sono indicative: si parla infatti di un miracolo di Siena che per il piccolo Mustafà El-Nezzal “non si è mai avverato”. Inoltre la famiglia siriana ha giudicato i mesi in Italia come ‘degradanti’, ha sostenuto di ‘essere stata come in prigione’ in attesa delle cure al centro Protesi di Budrio e di non avere avuto un rapporto buono con la Caritas di Siena.
Zeineb, madre di Mustafà, ha infine riferito alla giornalista tedesca che per suo figlio non c’era trattamento per farlo camminare. I medici emiliani avevano suggerito protesi estetiche dal costo di 80 mila euro, pari a metà delle donazioni che aveva ottenuto la famiglia. Ecco, quindi, che gli El-Nezzal hanno avuto la sensazione che Mustafà non potesse essere aiutato nemmeno in Italia e si sono trasferiti.
L’Arcivescovo ha respinto ogni accusa ed ha tenuto a ricordare quale fosse il ruolo di Siena che doveva semplicemente ospitare la famiglia, così come accade per le famiglie siriane ospiti in questo momento a Siena. “Il problema forse era legato anche alla figura del padre Munzir – ha aggiunto Lojudice -, che, non cogliendo quale fosse la realtà della situazione, non riusciva ad accettare la realtà delle cose. Era come se volesse che a Mustafà spuntassero piedi e mani come per magìa”.
“Purtroppo questa non era la famiglia del Mulino Bianco”, ha ammesso il cardinale. “E non possiamo fare nulla sul fatto che la fragilità umana, psicologica e il vissuto di queste persone abbia creato delle attese fuori dalla realtà”.
Eppure i rapporti tra i bambini della famiglia siriana e i volontari della Caritas di Siena rimangono ad oggi ottimi, forte l’affetto da entrambe le parti. Resta da capire dunque il motivo dell’attacco attraverso un’intervista che lascia lunghe ombre sulla vicenda: chi ha messo in contatto la famiglia con il giornale tedesco facendo in modo che trapelasse questo immotivato rancore?
E poi c’è la questione del fondo istituito a Siena per la famiglia di Mustafà: “I soldi raccolti per Mustafà non verranno dati al vento, stiamo cercando un canale diretto con la Germania attraverso istituzioni e Caritas e siamo pronti a metterli a disposizione per qualsiasi esigenza del bambino ma solo di fronte ad un progetto serio”. Lo ha affermato il portavoce dell’Arcidiocesi di Siena Gianluca Scarnicci parlando del conto corrente attivato dalla Caritas di Siena per il sostegno del bambino siriano. Sul conto corrente attualmente sono presenti 30mila euro che sono il risultato delle donazioni di tanti cittadini senesi. “A Siena li abbiamo adottati, poi le scelte che li hanno portati in Germania non le sappiamo” ha aggiunto Scarnicci parlando della scelta della famiglia che ha lasciato Budrio. “Prendiamo atto della loro decisione, gli facciamo gli auguri, siamo dispiaciuti e speriamo che sia la scelta giusta”, ha concluso.
Katiuscia Vaselli