Il castello di Montegrossi, anche conosciuto come “Montegrossoli” o “Poggio Rodolfo”, era la sentinella e ultimo baluardo del sistema feudale medievale costituito nel Chianti. Eretto a circa 700 metri di altezza sulla cresta dell’ultimo rilievo della piccola catena montuosa che fa da confine fra i territori del Chianti e del Valdarno Superiore, da sempre oggetto di dispute fra Firenze e i suoi nemici, domina il valico e la strada che collega le due aree, oltre a entrambi i versanti di gran parte della vallata.
Le prime notizie del fortilizio risalgono al 1007: un documento dell’abbazia di Passignano nomina il castello come proprietà dei figli di Ridolfo, dai quali discesero i Firidolfi e i Ricasoli. Nel 1172 fu conquistato e distrutto dai Fiorentini che consideravano il fortilizio un grosso ostacolo per i loro movimenti nella zona. Dopo pochi anni i resti del castello divennero feudo della famiglia chiantigiana dei Firidolfi, i quali ne curarono la ricostruzione.
Alcune fonti sostengono che furono proprio questi feudatari a sfruttare la posizione strategica di Montegrossi come base per azioni di brigantaggio e saccheggio a scapito delle carovane dirette a Firenze. Poco dopo il castello entrò a far parte, come punto di forza, della catena di fortificazioni volute dall’Imperatore Barbarossa dal Chianti a Fucecchio, nel Valdarno Inferiore, per controllare tutta la Toscana centrale. Ma anche questo dominio non durò a lungo e durante la guerra fra la Lega dei Comuni Toscani e le forze imperiali, i Fiorentini si rimpossessarono del fortilizio.
Oltre a un potenziamento dei sistemi di difesa la piazzaforte, vista la sua importanza, fu dotata di una guarnigione permanente. Nei secoli successivi Montegrossi fu più volte assediato con grande accanimento. Gli attacchi più massicci giunsero dagli Aragonesi nel 1478 e nel 1530 dall’esercito di Carlo V che rase al suolo definitivamente il castello, per evitare che la sconfitta Repubblica Fiorentina potesse, una volta risorta, utilizzarlo come punto di forza nel Chianti. Da allora i ruderi di Montegrossi sono abbandonati, oggi sulla cresta del monte svetta ancora l’imponente cassero con torre circondato da ciò che resta del recinto fortificato, purtroppo solo pietre sparse nella vegetazione. Sul cassero è possibile ancora notare l’originale porta d’accesso, a un livello rialzato dal terreno e, all’interno, i capitelli di pietra che sostenevano le assi dei solai. Nella parte più a nord, forse la parte adibita ad abitazione, possiamo ancora vedere i resti del soffitto. Nonostante del castello non rimangano che rovine, la sua presenza non può passare neanche oggi inosservata a chi transita dal Valdarno verso il Chianti o viceversa.
Si racconta che per un lungo periodo poco dopo la distruzione, i ruderi furono spesso avvolti da bellissimi arcobaleni e per questo si diceva che quel che restava del castello fosse abitato da un “Leprecauno”, un piccolo gnomo che voleva vivere in solitudine e custodire la sua pentola piena d’oro nascosta proprio alla base dell’ arcobaleno e probabilmente all’interno delle rovine. La leggenda racconta anche che lo gnomo guardiano del calderone colmo d’oro, ci sia per impedire ai non meritevoli di appropriarsi del tesoro. Si diceva anche che se per 40 anni non si fosse visto sopra la torre del castello un arcobaleno, allora la fine del mondo sarebbe stata vicina. Quando nell’arcobaleno prevaleva il colore rosso, si prevede un’annata buona per il vino. Se prevale il giallo, l’annata sarebbe stata favorevole al frumento. Se invece prevaleva il verde, sarebbe stata molto propizia per l’olio.
Articolo e Foto Gabriele Ruffoli