Chissà cosa ci avranno visto mai i senesi nell’affaccio sulla meraviglia del cencio di Milo Manara. Qui ognuno potrà tranquillamente sognare, magari per soltanto quattro giorni, ma lo potrà fare alla grande. Tutti e dieci hanno motivo per pensare di interpretare quell’Assunta, quel cavallo, quel cielo di nubi, la striscia fatata che porta le dieci partecipanti. Un percorso ricco di simboli: cerchiamo di farlo. E’ vero i colori che colpiscono subito gli occhi sono il celeste-blu ed il rosso, ma poi subito altri elementi ci indicano altre strade. E chissà quale sarà quella buona. Se ci fosse stata in piazza la Giraffa avremmo subito chiuso il discorso, non soltanto perché i drappelloni di qualità scendono spesso in Provenzano ma per quella madonna ci riporta a Vespignani, Tommasi Ferroni ed altri capolavori oggi in via delle Vergini. Ma adesso la gara è invece aperta, apertissima. Che ne dite di quel cielo dove poggia l’opera bianco e celeste? Sembra un elemento da non trascurare. E poi guardate bene la Madonna, scoprire quale Contrada si poggia propria sul cuore dell’Assunta. Altro elemento non da poco. Ne volete altri? C’è uno zoccolo del cavallo che poggia su di un altro rione. E allora? E quel giallo dove tutto si ricompone? Tutti elementi che possono fare la differenza. Rosso, blu e giallo che segnano poi la parte superiore dell’opera, per un insieme che offre uno spettacolo da brivido. Poi c’è l’ordine delle Contrade disegnate da Manara: si guarda quella più in alto o quella più in basso? Questo il dilemma. Manca solo una luna strepitosa e poi tutto sarebbe da canzone d’autore. Note a margine: come avete sicuramente notato non abbiamo fatto mai il nome di una Contrada. Quelle mettetecele voi, a vostra scelta seguendo desideri e speranze. Noi restiamo come un cielo in perenne fuga, ad aspettare il senso degli eventi. Manara ci insegue con la sua rotonda carnalità. Manca soltanto di sentire in sottofondo l’immancabile Paolo Conte: “Entra e fatti un bagno caldo, c’è un accappatoio azzurro, fuori piove è un mondo freddo…”
Massimo Biliorsi