Per ora l’obiettivo che Haria vuole raggiungere è in ambito medicale: restituire la funzionalità degli arti a chi ha arti paretici per cui non bastano le protesi. In futuro però il progetto di cui è responsabile scientifico Domenico Prattichizzo, docente dell’Università di Siena, potrebbe rivoluzionare le nostre vite.
Partiamo dalle basi, cosa è Haria? Un progetto, coordinato dall’ateneo toscano, che ha vinto il bando europeo Horizon 2021, ottenendo 4,6 milioni di euro. Su Haria è al lavoro un consorzio di sette enti di cui fanno parte anche l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, la Fondazione Santa Lucia di Roma e l’azienda tedesca Ottobock.. Haria si rivolge a persone per cui, per svolgere semplici interazioni quotidiane, serve l’ausilio degli assistenti.
La sfida è quindi quella di restituire la possibilità di poter tornare a fare le cose da soli. In che modo? Ecco che vengono in aiuto i robot: “Ad oggi questi ultimi sono nostri maggiordomi, ma possiamo farli diventare vere e proprie estensioni del corpo- afferma Prattichizzo-. L’uso della tecnologia aumentativa permette di controllare arti robotici soprannumerari e i loro movimenti e di percepirne fisicamente le sensazioni. Faccio un esempio: se il braccio robotico toccasse qualcosa di bollente potremo far sentire all’uomo che lo controlla una sensazione di calore”.”.
Il robot si collega all’uomo attraverso delle interfacce sensomotorie come una fascia di 100 grammi, ricca di tecnologia meccatronica, da indossare. “Logicamente non possiamo usare un arto paretico e dobbiamo capire dove possono essere quelle parti del corpo capaci di collegarsi agli arti soprannumerari – continua Prattichizzo-. Queste persone vanno immaginate come danzatori che muovono parti del corpo che altri genericamente non muovono. Questo è la nostra stessa filosofia: sfruttiamo la spalla, il bacino, un movimento della testa o una contrazione per controllare gli arti”. Inoltre, spiega il docente, “i sensori robotici che vengono indossati possono stimolare le nostre sensazioni a seconda di quello che viene toccato dai bracci robotici”.
Da Haria però, come detto, si può partire per rivoluzionare le nostre vite. “Il progetto per ora si focalizza sull’attività quotidiana di chi non può muovere gli arti. Dal vestirsi, al cucinare, all’igiene personale: sono tutte cose che chiederebbero un ausilio – chiarisce Prattichizzo-.
Con queste tecnologie invece basterà dare un semplice comando con un muscolo, per cui la casa diventa quasi come una nostra estensione”. Il ragionamento si può pure applicare in campo industriale, “se dobbiamo alzare merci molto pesanti lo potremo fare con le braccia robotiche che ci faranno stancare molto meno”, dice il docente che affida ad una riflessione le sue conclusioni: “Ci siamo sempre occupati di tecnologie aumentative delle nostre capacità cognitive: i pc e gli smartphone, per esempio, ci aiutano a ricordare più informazione e a conoscere più lingue. Se non ci occupiamo di aumentare anche le nostre attività sensomotorie rischiamo di avere super cervelli imprigionati in corpi anatomicamente simili a quelli di migliaia di anni fa. Gli atri soprannumerari e le interfacce sensorimotorie potranno aiutarci a superare questi limiti. I robot non saranno più nostri collaboratori, ma estensioni in grado di migliorare le nostre capacità motorie ogni volta che ne avremo bisogno”